9, Che cosa stai dicendo?

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Venerdì 29 settembre 1995, ore 3:01, Brighton, East Sussex, Inghilterra, Zefiro Mental Health Psychiatric Hospital, stanza di Harry.

Sbatté le palpebre gonfie di sonno sugli occhi acquosi, mugolando versi di irrequietezza.

Si stiracchiò a cercare l'orologio da polso ereditato dal nonno tre anni prima, sporgendosi verso la sorgente di luminosità più prossima, ossia le lastre della finestra. Era notte fonda.

Aveva atteso che Louis s'intrufolasse nella sua camera, come accadeva ormai ogni giorno, e si era appisolato con la luce accesa. Doveva averla spenta Liam durante uno dei suoi monitoraggi.

Dovette adattarsi a quella realtà, malgrado la ripudiasse con tutto sé stesso: Louis era talmente infuriato da non aver neppure azzardato un approccio di riappacificazione.

Lo avrebbe compreso, se vi fosse stato un motivo valido per detestarsi, ma quel motivo non esisteva. Si era trattato di un litigio insensato, persino infantile. Non poteva permettere che la loro intesa perfetta fosse guastata da un temporale passeggero.

Doveva necessariamente agire e riparare la situazione.

S'inginocchiò sul cuscino e spalancò una delle due ante, scavalcando il parapetto della finestra, atterrando sul terreno di prato con un saltello.

Accovacciatosi al suolo, scattò in piedi e corse alla propria destra, conservando nella mente la quantità di finestre sorpassate. Nel momento in cui pervenne alla settima finestra, ossia quella dietro di cui si celava la camera di Louis, raccolse un lungo respiro e appioppò diverse bussate al vetro, generando un tedioso frastuono.

«Louis?» invocò, proseguendo a bussare con tenacia. «Louis, ti scongiuro, sono Harry. Fammi entrare!»

La supplica fu il preludio di un silenzio morboso, infrangibile.

«Lou, so che sei arrabbiato con me, però io ti amo! Mi hai sentito? Ti amo!» gridò con accento di angoscia. «Tu avevi ragione: ci si sente a casa, quando si ama qualcuno, ed io mi sento a casa con te. Ti amo! Sono pronto e ripeterlo altre cento, mille, infinite volte, però ti prego, ti imploro, lasciami entrare».

Sapeva quanto Louis fosse testardo, orgoglioso, forse anche immaturo, ma non voleva credere che lo stesse ignorando in quel modo barbaro.

Harry gli aveva appena dichiarato i propri sentimenti. Aveva il cuore tagliato a metà e il respiro sbrindellato.

Non era possibile che volesse punirlo al punto da ignorarlo persino dopo l'audace confessione.

Aveva motivo di credere che non si trovasse nella propria camera? E se era così, allora dove mai era andato a cacciarsi?

Pervaso dal panico, si catapultò in direzione della propria stanza e ne valicò l'entrata, prima di oltrepassarne l'uscita.

Camminò sul corridoio a piedi nudi, picchiando i talloni sulle mattonelle, fino a produrre un rumore grave, sordo.

Non era preoccupato che uno degli operatori lo trovasse lì a vagare, anzi, era proprio ciò cui mirava. Poiché non accadde, raggiunse l'unica porta dai contorni luminosi insita nel piano terra. Una volta allontanato il divisorio dallo stipite, stanò Liam e Zayn avvinghiati uno all'altro, sdraiati su un lettino d'emergenza, intenti a baciarsi e ad accarezzarsi.

Si sarebbe soffermato sulla succosa scoperta, se quello fosse stato un momento come un altro. Ma non era un momento come un altro.

«Scusate» debuttò, ansando.

I due, colti alla sprovvista, si separarono alla velocità di un fulmine e inchiodarono a lui gli occhi sbarrati di terrore.

«Che cosa ci fai qui?» domandò Zayn. Non era arrabbiato, e nemmeno troppo meravigliato, il che avrebbe significato qualcosa, se solo Harry fosse stato dotato appieno delle proprie facoltà mentali. Peccato che la paura stesse smembrandogli le ossa, i muscoli, e fendendogli l'epidermide. Niente sarebbe stato tanto potente da sormontare l'apprensione.

Crying on the inside [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora