Drop

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Ogni cosa sembrava procedere secondo i tempi. Ormai era tutto pronto, il piano doveva solo essere attuato.

Un piano perfetto.

Eppure Shin non riusciva a smettere di mangiarsi le pellicine delle dita, infastidito dal chiasso poco elegante di quei putridi lembi di pelle che Midori aveva l'ardito di chiamare "soldati".

«Dannata strega! Spero proprio che il suo piano sia all'altezza delle aspettative. Non vorrei ritrovarmi in guai ancora più grossi!»

"Dobbiamo seguirlo alla lettera se vogliamo che tutto fili liscio" gli aveva sussurrato con quella sua voce tanto dolce quanto ammaliante. Bella.

Midori era una dea. Una vera regina. Provava un forte senso di vergogna e al contempo di protezione verso di lei, intrappolata per secoli senza una vera ragione, ma solo e soltanto per paura.

Paura. Lo stesso vacuo sentimento che aveva portato i suoi predecessori a dimenticarsi di lei e del suo inestimabile potere: pur avendo una fortuna celata a pochi metri sotto il loro suolo, avevano preferito chinare la testa davanti alle prepotenze degli altri Paesi.


"Poveri idioti! Se soltanto aveste avuto quel poco di coraggio che ho avuto io..."


Sì. Liberare Midori era stato senza alcun dubbio il miglior regalo che poteva fare al suo Villaggio. Certo, molti dei suoi abitanti lo disprezzava e con ragione: con la presunta malattia di suo padre e il suo ascendere al trono, Shin aveva apportato fin da subito dei grossi cambiamenti... cambiamenti che, a quanto pareva, non erano passati inosservati all'occhio di Shikamaru Nara. Eppure Midori lo aveva rassicurato sul fatto che gli interscambi esteri non avrebbero destato troppi sospetti... che si fosse sbagliata? O peggio...


"Che lo avesse fatto di proposito?"


Una punta di gelosia lo colpì in pieno petto. Si rese conto che, probabilmente, Midori aveva fatto ben più che parlare con lo stratega, durante la loro partita a Shoji: La sensazione acre di invidia, unita alla smania di vedere cadere il Paese del Vento e del Fuoco lo fece irritare ancora di più, portandolo ad urlare ordini e ad insultare pesantemente chiunque gli fosse a tiro.

Nel frattempo, nascosti ad occhi indiscreti, Shikamaru e Temari spiavano i suoi movimenti e preparavano segretamente la loro controffensiva. Il tempo rimasto a disposizione era davvero poco, in più Shikamaru destava in condizioni pessime; Stavolta però non lasciò spazio a dubbi e incertezze.

«Sai cosa devi fare.»

Temari annuì. Si scambiarono un'ultima occhiata d'intesa, dopodiché misero in atto il loro piano.

Mentre correva a gran velocità, nella mente di Shikamaru Nara iniziava una nuova partita di shōgi, e questa volta sentiva di avere grosse probabilità di vittoria: nello shōgi, in giapponese "gioco dei generali", ogni mossa era una scelta che comportava un range di successive alternative, e più le studiava, più alternativi futuri si mostravano a lui, in un puzzle di eventi non ancora definiti.

Ora lui e Temari si sarebbero divisi: la ragazza avrebbe combattuto le guardie a scorta di Shin, facendole fuori in breve tempo; Shin avrebbe tentato la fuga, ma sarebbe stato bloccato dai loro alleati, e qui ci sta una piccola digressione: Per una lavata di coscienza verso ciò che stava facendo al padre (o, forse, per la sua vanagloriosa imbecillità), Shin aveva tenuto in vita tutti quei sudditi devoti che, a suo avviso, non risultavano così pericolosi per i suoi scopi, preferendo lasciarli marcire nelle segrete della prigione dell'Erba. Una volta ascoltato il racconto del vecchio daimyō, spirato tra le braccia di Temari, Shikamaru e la donna non avevano perso tempo e si erano prodigati nel liberare ogni singolo individuo fedele alla loro causa; e così da due soli che erano, Shikamaru e Temari si trovarono ben presto a poter contare su un buon gruppo di persone, desiderose di vendicare la morte del loro amato regnante.

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