3) Speranza

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Se chiudo gli occhi e penso a quei lunghi anni mi è chiaro il fatto che non fossi consapevole del carico di dolore e disagio che giorno dopo giorno accumulavo. Forse la non consapevolezza è come un grande e forte scudo. A pensarci bene, sono più che convinta che il non comprendere l'entità del negativo che ci arriva o che viviamo, ci permette di affrontare a piccole dosi e con sana ingenuità quella determinata situazione. 

La domanda "come ho fatto" ha iniziato a farsi strada in me, tanti anni dopo. Nel momento in cui vivevo lì non mi è mai balenata tale domanda. Col senno di poi penso che è stata una vera e propria benedizione, perchè il mio spirito e soprattutto la mia mente sono state protette. 

Non è il male in sé a ferire o a distruggerci, la differenza la fa il nostro grado di consapevolezza. Se siamo totalmente consapevoli che ciò che viviamo è negativo o doloroso, la nostra mente fa molta fatica ad accettare, metabolizzare e superare. Il non sapere è come entrare per la prima volta in una stanza buia, si procede lentamente, a tentoni. Ci si fida solo ed unicamente di se stessi ed inoltre si ha la speranza che tutto vada per il meglio.

 La speranza! 

Ero carica di speranze, respiravo tale sentimento con la stessa necessità con cui respiriamo aria per sopravvivere. Si può dire che era proprio questo sentimento a guidarmi e a mantenermi sana di mente.

Pensate che esageri? Quanto vi sbagliate! 

L'eccessivo dolore unito all'abbandono e ad una bolla fatta di anaffettività può portare alla follia. 

Quante bambine ho visto esplodere, impazzire dal dolore e dal non amore. Quante altre invece le vedevo spegnersi giorno dopo giorno. Si rifugiavano nel silenzio più totale, perchè non riuscivano più a sopportare ne a sperare. 

Ed io? Io mi nutrivo di speranze; speravo in una cameretta mia, speravo che all'improvviso il mio papà arrivasse correndo da mee con un gran sorriso mi dicesse : "Ti porto via!", speravo di ricevere abbracci e baci, di sentirmi dire "sei importante! Ti voglio bene!". Speravo che qualunque cosa bella si fermasse da me e per me. Nel frattempo rimanevo calma, in silenzio ad aspettare. 

Vedevo raramente la mia famiglia, abitavano in un altro paesino. Certo, la distanza non era insuperabile ma le visite che ricevevo, anche rispetto alle altre collegiali, erano poche e brevi. In quelle visite poi ero così emozionata che la mia curiosità di chiedere veniva meno. In quei pochi momenti di felicità mi bastavano i sorrisi e le risate di mio padre, lo ascoltavo e seguivo come solo un cucciolo smarrito può fare. 

Era come se mi nutrivo e aggrappavo a quei momenti per vivere tutto il resto. Ovviamente alla domanda "Come stai?" la risposta era sempre che stavo bene, tutto era meraviglioso. Che avrei dovuto dire? Portami via? La risposta la conoscevo fin troppo bene. Si potrebbe dire che in quegli incontri entrambi ci mentivamo! Nulla andava bene né in collegio, né tantomeno a casa.

Il Coraggio Di Fidarmi Di MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora