Il termine vacanze nell'immaginario di grandi e piccini ispira un senso di leggerezza, di spensieratezza; vacanze equivale a viaggi, divertimento e relax.
Anche per il nostro paesino sulle montagne lucane i periodi festivi erano attesi con entusiasmo. Iniziavano infatti tutta una serie di eventi religiosi e non, che coinvolgeva non solo i residenti ma anche chi abitava nei paesi vicini. Anche il nostro orfanatrofio si "alleggeriva" con l'avvicinarsi di questi periodi. Eh si sembra strano ma durante il periodo natalizio o pasquale, molte famiglie venivano a prendere i loro pargoli affinchè trascorressero con loro le feste comandate.
Ho detto molte, non tutte!
Inutile dire che io appartenevo a quelle che restavano! Scrivere che piangevo o mi disperavo sarebbe una bugia, in realtà dopo i primi due anni di sgomento e dolore, dal terzo anno in poi il mio animo si caricava di un mix di emozioni che cozzavano tra loro: rabbia di essere una diversa anche tra noi collegiali, dolore di essere allontanata, esclusa dalla mia famiglia persino a Natale o Pasqua, nostalgia di mia madre, mio padre e mia nonna, colei che nei primissimi mesi di vita si era costantemente presa cura di me.
Una piccola parte di me provava sollievo perché le suore fameliche, come in una favola classica si trasformavano e il collegio stesso diventava sopportabile.
Ma andiamo per gradi, tutto iniziava con la processione di macchine di genitori o zii che parcheggiavano difronte il piazzale della chiesa, i genitori percorrevano una leggera salita, scendevano una larga scalinata fatta in pietra viva grigia, per poi trovarsi difronte all'enorme portone scuro del nostro collegio.
Quel portone suor Agostina lo apriva alle otto, l'atrio si riempiva di voci, profumi maschili e femminili, di risate, di pianti e abbracci.
Penserete che guardare le mie compagne abbracciare e andar via con i loro cari, mi provocasse dolore, invece non era affatto così. Due volte l'anno, ero così entusiasta che ero la prima ad arrivare nel grande corridoio, da lì potevo guardare l'atrio.
Mi commuovevo a guardare le mamme: erano le prime a sorridere e piangere appena vedevano arrivare le loro figlie. Le ascoltavo con occhi lucidi mentre ripetevano dolcemente : "Mi sei mancata, vedrai quante cose buone ho preparato" oppure " Ti vedo sciupata, ma stai mangiando? Vedrai tesoro per l'anno prossimo, forse, riusciamo a farti stare con noi" , le ascoltavo e in cuor mio speravo che almeno per loro quelle promesse si avverassero, ma ad ogni anno nuovo, eravamo tutte lì.
Dopo i convenevoli con le suore e i saluti il collegio si svuotava e ritornava nel silenzio a cui ero più che abituata. La cosa più entusiasmante per me e le poche altre era la drastica riduzione delle regole.
Ognuna di noi aveva la sua suora preferita a cui stava appiccicata e dalla quale, finalmente, riceva attenzioni.
Io in realtà ne avevo due : la prima era una giovane suora colombiana, il suo sorriso mi faceva ricordare la mia mamma, aveva una voce melodiosa e calma, dormivo nella sua camerata e in questi periodi per non farmi restare da sola accanto a tanti letti vuoti, dopo avermi raccontato la vita di qualche santo, si coricava nel letto accanto al mio.
La seconda suora era italiana, bassina e cicciottella, dalla risata calda, adoravo ascoltarla cantare in sartoria mente cuciva e sistemava i nostri vestiti. Durante i pasti il nostro refettorio era vuoto, bastava apparecchiare un solo tavolo, di solito restavamo in quattro o cinque.
Dopo pranzo sgattaiolavo in sartoria, lei mi aspettava per accendere la radio e farmi ascoltare un pò di musica "profana" ovviamente a volume basso. La sera invece mettevamo in atto il nostro" piano segreto" : tutte passavamo nel piccolo refettorio delle suore per dar loro la buonanotte, salivamo nei dormitori. Lì, aspettavo impaziente dietro la porta, man mano ascoltavo le altre porte degli altri dormitori chiudersi, quello era il segnale che le suore erano andate a dormire.
Uscivo svelta dal mio dormitorio, toglievo le pantofole e con passo leggero percorrevo il corridoio, scendevo la lunga scalinata e ritornavo in refettorio, lì c'era lei ad aspettarmi con un sorriso, mi faceva segno di avvicinarmi.
Mi chiedeva se avevo fame, assaggiavo così piatti nuovi che durante l'anno non ci venivano preparati. Poi mi sedevo stretta vicino a lei e guardavamo la televisione : film interi, cartoni animati di Natale, alle volte anche l'intero film della storia di Gesù.
Andavamo aletto molto tardi, ovviamente nel dormitorio la giovane suora faceva finta di dormire, di non sentirmi quando con passo felpato rientravo e mi mettevo a letto. Stessa cosa al mattino, la sveglia non suonava alle sei, ma alle dieci con lei che ripeteva la stessa frase: "La sveglia non è suonata. Per fortuna che siamo in vacanza ma prima del ritorno delle tue compagne dovrò cambiarla". Sorridevo e fingevo di crederle.
In tanti anni non ha mai cambiato la sveglia, sapevo chela spegnava per lasciarmi dormire.
Nei miei ricordi quei giorni festivi li ricordo con sorriso, erano giorni dove finalmente veniva fuori la loro umanità e affetto, anche se poi tutto tornava come al solito ed io rimanevo delusa e confusa, mi chiedevo perché non riuscissero ad essere affettuose sempre.
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Il Coraggio Di Fidarmi Di Me
Ficción GeneralQuesta è una biografia dai toni crudi, diretti. Non ci sono fatine buone, ne principi azzurri. Esiste invece una bambina che inizia troppo presto a conoscere la solitudine: cresce per 10 anni in un orfanotrofio lager italiano degli anni ottanta, vie...