Oggi da madre ogni anno mi godo l'esplosione di gioia e spensieratezza dei miei figli all'arrivo dell'estate, periodo che fanno iniziare con l'ultimo giorno di scuola. Ogni anno osservo i loro visi radiosi, quando abbandonano libri e tensione per lasciarsi andare e vivere i loro tre mesi di libertà tra mare, amici e lunghe dormite.
Ogni tanto mentre li osservo non posso fare altro che chiudere gli occhi e con il cuore e la mente tornare indietro nel tempo, rientrare in quelle enormi stanze fredde dove la piccola me, con occhi sognanti osservava, per ore ed ore, fuori dalle grandi vetrate il piccolo paesino rinascere con l'arrivo del caldo estivo. Osservavo la gente camminare, parlare, le vedevo tormentarsi per il caldo, proteggersi con capelli di varie dimensioni o trovare sollievo con sgargianti ventagli, tutte cose inutili per noi perché anche al caldo era proibito entrare in orfanatrofio.
D'altronde lui era libero, non era come noi.
Anche nel periodo estivo il collegio si svuotava : alcuni di noi passavano gli interi tre mesi in famiglia, altri invece per un mese venivano mandati in colonia, per poi gli altri due mesi passarli a casa con i propri cari. La piccola me veniva mandata in colonia.
Forse vi starete chiedendo di cosa si tratta: la colonia era situata in una località di mare, sempre in Basilicata, era gestita da laici, ci portavano al mare tutti i giorni, giocavamo, facevamo lunghe passeggiate e novità assoluta è che la colonia era aperta a tutti, maschi e femmine. L'edificio era moderno, pareti più basse rispetto al collegio, mura colorate e allegre, pavimenti lucidi e chiari. Gli educatori erano giovani, sempre allegri, sorridenti, giocavano con noi, inoltre mangiavano seduti con noi in refettorio. Era un ambiente diverso. Certo la sveglia al mattino suonava presto non per le pulizie ma per vestirci, fare colazione e arrivare prima in spiaggia.
La prima volta che ho visto il mare ho provato un sentimento di pace ma allo stesso tempo si è risvegliata in me la mia parte nomade, acquisita da mia nonna materna, una zingara nomade dalla nascita che ha vent'anni per amore di mio nonno ha imparato a mettere radici, per tutto il resto della sua vita, in un paesino lucano. Tutti i giorni mentre nuotavo dicevo a me stessa che qualcosa di bello sarebbe accaduto, che avrei viaggiato come la nonna, che sarei stata libera, coraggiosa e selvaggia, perché come lei, questa era la mia natura.
In colonia avevo i miei due compagni di giochi preferiti, due fratelli: Valentino e Gianluca. In realtà non eravamo semplici compagni di giochi, il nostro legame partiva da molto lontano. Le nostre famiglie erano vicini di casa, potevamo facilmente passare da un balcone all'altro. Mi avevano vista nascere, sapevano tutto di me e della mia famiglia come io di loro. Eravamo da sempre legati, loro avevano altre tre sorelle che erano in collegio con me: Anna, Maria e Simona. Il solo poterli ritrovare per me era fonte di gioia, passavamo ogni minuto insieme, mi coinvolgevano nei loro giochi "da maschiacci" così come io li coinvolgevo nei miei sogni di fuga ad occhi aperti.
Delle mie estati in colonia ho ricordi positivi e giocosi che riuscivano a scaldarmi l'anima nei successivi undici mesi. Le nuotate, le corse in spiaggia, il ridere così tanto da stare male, il nostro stare sdraiati abbracciati ad osservare il cielo e giocare con le forme delle nuvole. Ho ancora nel cuore il loro affetto, il loro preoccuparsi sinceramente per me, come quella volta che cadendo da uno scoglio mi feci un lungo taglio sulla coscia. Tra noi tre la più calma ero io, che a denti stretti e senza versare una lacrima, versavo acqua di mare sulla ferita. Gianluca mi rimase accanto in silenzio e pallido in viso come se si aspettasse che succedesse il peggio da un momento all'altro. Valentino invece, il più responsabile tra noi, corse come un fulmine a chiamare gli educatori. Non ci fù bisogno dei punti in ospedale, me la sono cavata con una fasciatura e una bella sgridata interrotta da Gianluca che mentendo si prese la responsabilità del mio gesto.
Per non parlare della mia seconda memorabile caduta. Premetto che i nostri dormitori erano sistemati con letti a castello, io adoravo dormire nel letto di sopra. Una notte mentre dormivo, ricordo solo una grossa botta e tanto sangue. Ero caduta dal letto sbattendo di faccia a terra, mi ero spaccata il naso. Portata velocemente in ospedale. Ancora oggi porto i risultati di quella brutta nottata: la seconda parte del mio setto nasale è molle, senza osso.
Al ritorno in colonia, ero molto scossa e spaventata di conseguenza tendevo ad isolarmi, ma non troppo! Avevo i miei due angeli che mi erano costantemente vicino, impedendo alla mia paura di avere la meglio. Certo avevo costruito un legame molto stretto anche con le tre sorelle, ma con loro condividevo il gelo e i miei demoni silenziosi del collegio, ogni volta che i nostri occhi si incontravano quel freddo, il dolore inevitabilmente venivano a galla.
Quell'unico mese era meglio di un balsamo che nascondeva le ferite, durante quelle lunghe e calde giornate allontanavo da me tutto: le montagne, la scuola, il deridermi delle compagne di classe, i miei capelli corti e poi le suore, il gelo del collegio, le preghiere interminabili, le regole, la paura ma soprattutto allontanavo il vuoto che giorno dopo giorno si faceva spazio nel mio cuore. Sebbene il legame tra me e i due ragazzi fosse mescolato al passato, c'era speranza che tutto nelle nostre vite potesse cambiare.
Molti anni dopo dall'ultima volta di essere stata in colonia, dall'ultima volta che ho potuto passare del tempo con loro due, ormai donna e madre sono ritornata a cercarli. Il mio cercare non voleva essere un rientrare prepotentemente nelle loro vite per riportarli con un solo sguardo al nostro passato, il mio cercarli era un sottile chiedere, avere informazioni o la certezza che stessero bene e che finalmente le loro speranze si fossero avverate.
Da fonti molto attendibili ho saputo che il dolce e saggio Valentino ha trovato la sua strada e il suo riscatto in una felice vita matrimoniale. Suo fratello Gianluca, il mio fidato custode e complice, purtroppo il passato e gli oscuri demoni che condividevamo, hanno avuto la meglio. Sapere che benchè vivo si fosse perduto su una strada fatta di alcool e droghe, è stato devastante, anche perché i miei occhi di bambina l'avevano sempre visto combattivo, forte, il piccolo eroe che hai miei occhi non mollava mai. Non sono riuscita ad incontrarlo, una vigliaccheria la mia? Non lo so, forse si o forse sapevo che se non fossi riuscita "a salvarlo" anch'io mi sarei persa con lui. Oggi però non posso e non voglio perdermi! Voglio vivere ed il perché è ancora presto da raccontare.
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Il Coraggio Di Fidarmi Di Me
General FictionQuesta è una biografia dai toni crudi, diretti. Non ci sono fatine buone, ne principi azzurri. Esiste invece una bambina che inizia troppo presto a conoscere la solitudine: cresce per 10 anni in un orfanotrofio lager italiano degli anni ottanta, vie...