17.

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Simone è a scuola, negli spogliatoi della palestra come ogni giorno dall'inizio dell'anno.
Fa parte della squadra di pallavolo della scuola, gli piace tanto. Oppure lo usa come sfogo.
Non ha di certo una vita facile, odia suo padre, odia la vita che ha per colpa sua e odia che sua madre sia così lontana da lui.
Lo sport lo aiuta a distrarsi, anche se per poco.

Si sta cambiando per gli allenamenti, indossa una canotta rossa con dietro il suo numero: 17.
Lui, assieme ai ragazzi della squadra, stanno per uscire dagli spogliatoi, ma vengono interrotti dal rumore della porta che si apre.
Si intravede una testa riccioluta avvicinarsi.
È un ragazzo.

- Siete di pallavolo? -
Silenzio. Solo uno risponde "Si". No, non è Simone.
Lui si limita a osservarlo un ogni minimo dettaglio, da quel misero zaino che si porta dietro, probabilmente contenente a stento un quaderno e un astuccio, alle sue scarpe nere e blu.
La parte che lo incuriosisce di più è quella degli occhi, si sono incrociati ma non se ne è accorto.
O ha preferito non farci caso, per tenere un tono da persona superiore.
Simone tende sempre a squadrare ogni persona nuova che conosce, per conoscerla meglio o per capirla, ma non lo fa di proposito. Succede e basta.
Ma spesso può essere frainteso, come gli è già successo in passato.
È finito che si è ritrovato in una rissa. Ne è uscito con un occhio nero.
Ma, questo ragazzo più basso di lui, non si lascia guardare e basta, ovviamente.
Gli ha fatto un occhiolino, così veloce che nemmeno lo ha notato, forse.

Si ritrovano tutti in campo; chi si allena, chi fa i palleggi, chi le schiacciate, chi corre...
Ognuno è occupato in qualcosa.
L'occhio di Simone ricade proprio sul ragazzo nuovo, che, diverso da tutti, fa le flessioni.
Gli colpisce la sua schiena, nota che è molto più piccolo di lui, ma ha una schiena scolpita.
Lo intravede dalla canotta rossa.
In realtà, lo guarda spesso e l'altro ha notato questa cosa. Ma decide di non dire nulla.
Iniziano una partita per tenersi in forma, loro due giocano contro.

Sono seduti su una panchina ad asciugarsi il sudore con un asciugamano, Simone si trova alle sue spalle. Dietro di lui.
Quasi tutti hanno già lasciato la palestra, altri sono ancora dentro a cambiarsi.
Gli ultimi a restare sono loro due. Che sfiga pensa Simone.
Mentre è girato di spalle occupato a bere, riceve un commento.

- Hai il mio numero preferito. -
- Eh? -
Chiede confuso voltandosi verso di lui.
Il ragazzo si alza.
- 17 - lo squadra - È il mio numero fortunato. -
- Mi fa piacere. -
Torna a fare gli ultimi sorsi d'acqua.
Si volta di nuovo mentre, stavolta, l'altro è di spalle. Nota immediatamente il suo numero. 02.
- Te non hai il mio. -
- No? Peccato. -
Lo guarda e si sfila la canotta, infilando la maglia.
Simone lo stava guardando mentre la toglieva.
Fa lo stesso il più alto.
Sente un soffio leggero vicino al suo orecchio.

- E comunque, mi squadri veramente da dio. -
Gli sussurra all'orecchio, facendo un sorrisino.
Quel sorrisino. Quello che fa arrabbiare Simone.
Non si sposta, si lascia sussurrare all'orecchio e sfiorare con le dita il fianco, sentendo un leggero pizzichino.
- Mi chiamo Manuel, comunque. -
Si allontana piano dal suo corpo, ormai caldo.
- Simone. -
Gira il volto per osservarlo, notando che lui sta facendo la stessa cosa.
- Bel nome. -
Lo squadra e ridacchia, prima di uscire e lasciarlo da solo nello spogliatoio.

Resta lì per poco, seduto a riflettere di quanto quel ragazzo gli dà su i nervi.
È arrivato e già vuole infastidirmi? Pensa.
Ma da un lato, è anche colpa sua.
Durante la partita, lo osservava ogni volta che ne aveva occasione.
Ogni punto che Manuel faceva, si guadagnava una squadrata molto ma molto evidente agli altri.
E a lui.
Si schiaccia le mani sul viso e si poggia con la schiena alla panchina, continuando a pensare.

Perché si è lasciato toccare il fianco? Non lo sa.
Perché non lo ha spinto via? Non lo sa.
Sa solo che prova un profondo odio. Ma in realtà, non sa nemmeno perché prova questo. Odio.
Parola a lui non nuova, ma fin troppo conosciuta.
Simone è cresciuto nell'odio per suo padre e continua a provare ciò per lui. Non smetterà mai, questo lui lo sa benissimo.
Raccoglie la canotta da terra, osservando il numero.
Pensa sempre di più che quel "Hai il mio numero preferito" sia stata soltanto una scusa per rompergli il cazzo.
E se me fotte il posto? Gli frulla in testa questa domanda da quando l'ha visto giocare.
Manuel gioca molto bene, fa delle schiacciate forti e la sua battuta iniziale è, quasi, migliore della sua. Non vuole che questo accada.

Manuel e Simone sono nella stessa classe, ha iniziato oggi anche se la scuola è iniziata da quasi una settimana e mezza.
Dante, padre di Simone, cerca sempre un contatto con lui ma viene ignorato o risposto male la maggior parte delle volte.
Lo fa perché non gli piace che gli altri sappiano che è suo padre, anche se ormai lo sanno tutti.
Tranne Manuel e lui non vuole che lo sappia.
Se lo usa come debolezza contro di lui per farlo giocare male?
A Simone da' l'impressione da stronzo menefreghista.
In realtà pensa questo di ogni persona che conosce, perché ha paura di essere ferito. Ancora.
Ma di lui, non ha di certo dubbi. Ciò che pensa è reale, vero. Almeno, nella sua testa.
Gira la testa verso Manuel che è impegnato a sporcare il quaderno di penna blu e poi rossa.
Non prende appunti durante la lezione di storia.
Non si stupisce, in realtà. Vedendo che persona è, di sicuro non rimane di stucco.
Perché sì, lui già ha imparato a conoscere Manuel.
Guardandolo quelle poco volte, quelle occhiate, le squadrate... sono bastate, a lui. A Simone.
Perché questo gli basta per conoscere le persone.
Certo, a volte si sbaglia ma altre no.
E, di lui, di sicuro non si sbaglia.

Di questo Manuel Ferro.

1702 - Simuel (AU)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora