Capitolo 14

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Erano passati due giorni da Juventus-Atalanta, due giorni dall'ultima volta in cui avevo ricevuto un messaggio da Viola in cui mi augurava buona fortuna e diceva di amarmi. Non avevo sue notizie e non riuscivo a contattare nessuno dei suoi amici per assicurarmi che stesse bene.
Mi sentivo stravolto e in preda al panico, perché non era da lei sparire così, senza darmi alcuna spiegazione.
Avrei voluto tanto contattarla e spiegarle che il bacio dato ad Alessandra altro non era che quello che avrei dato a lei, se fosse stata lì. Ero emozionato, al termine della partita e l'unico desiderio era quello di stringere la mia piccola Viola tra le braccia.
Ma lei non era lì.
Al suo posto, avevo trovato la figura slanciata di Alessandra e al posto dei capelli morbidi e scuri di Viola, avevo dovuto accarezzare quelli biondi della mia ragazza. Il sapore delle labbra sottili che avevo baciato quella sera era così lontano da quello della ragazza che sentivo di amare follemente.
Non appena le avevo scritto, quella notte, non avevo ricevuto risposta. Le avevo mandato un infinità di messaggi in cui la imploravo di ascoltarmi, di lasciarmi spigare, ma sapevo quanto fosse testarda quando credeva di avere ragione.
Non riuscivo a darmi pace.

L'università di Mediazione linguistica era forse una delle strutture universitarie più brutte mai viste, ma in quel momento vedere l'edificio mi diede un senso di momentanea serenità.
Sapevo che Viola avrebbe trascorso quella giornata con le amiche nel cortile di Sesto perché me ne aveva parlato con tanto entusiasmo e ringraziai la mia ottima memoria per avermi fatto ricordare di quell'impegno. Avevo deciso di tenderle un'imboscata, meschina ma necessaria, affinché Viola mi ascoltasse una volta per tutte.
Avevo passato una notte insonne, ripetendo nella mia testa infinte volte il discorso di scuse e di spiegazioni che avrei dovuto dirle con l'augurio di stringere la piccola Viola ancora tra le mia braccia.
Era lì.
Bellissima e con il broncio sulle labbra mentre osservava una sua amica lamentarsi di chissà cosa. Era superba e avrei voluto baciarla fino a farci mancare il respiro. Dio, mi era mancata così tanto che rivederla così piccola e con il volto pallido mi fece stringere le mani ancora più forte intorno al volante dell'auto di mio padre. Sarei sceso subito e le sarei corso incontro se non avessi rischiato di farmi beccare da qualcuno, mandando a puttane le mie intenzioni.
Sorrisi mentre si alzava per prendere le sue cose e correre verso la fermata della metro. Non appena salutò l'amica e girò l'angolo dove mi ero appostato, scesi di corsa dalla macchina e l'afferrai per un braccio.
Si voltò spaventata ma non replicò al mio risoluto "vieni con me".

Mentre mi dirigevo verso Monza mi sentivo sopraffatto dal suo profumo e dall'aria tesa che mi rendeva difficile respirare. Continuavo a trattenere le lacrime perché non volevo rendermi debole di fronte a quell'espressione dura e arrabbiata che mi rendeva nervoso e mi riempiva di terrore. Avevo paura di aver rovinato tutto, di averla persa.

"Viola, ti prego. Parlami."

La mia voce uscì debole e tremolante, ma feci di tutto per poter rimanere tranquillo e non urlare per la frustrazione.

"Non abbiamo niente da dirci."

"Viola, ti prego. Non fare la bambina."

Viola si sciolse la cintura con fare irrequieto.

"Ferma questa cazzo di macchina e fammi scendere."

Scandì le parole con lentezza e con una voce imperiosa che mi fece quasi ridere, tanto era buffa.
Continuai ad accelerare in risposta.

"Matteo. Ferma questa cazzo di macchina." Urló con rabbia, sbattendo la mano sul cruscotto.

"Viola, ma cosa cazzo di prende. Smettila di comportarti così. Porca puttana."

Urlai più forte perché non potevo sopportare di vederla così.
Mi sentivo una merda e impotente perché per la prima volta avevo davanti ai miei occhi una donna che non voleva stare più al mio fianco. Che mi detestava.

Irresistible  - Matteo PessinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora