Catturò il proprio labbro inferiore tra i denti con forza, percependo il gusto ferreo risvegliare i suoi sensi. Tirò su con il naso, gli occhi lucidi, carichi di lacrimoni che sarebbero scesi di lì a poco tracciando piccoli fiumi sulle sue guance, che non si staccavano dal sangue che scorreva via dalle sue mani e vi creava sopra intricate ramificazioni. Non sapeva il perché l'avesse fatto, perché avesse preso a pugni lo specchio posto nell'angolo della stanza, vicino alla portafinestra, e che ora riversava in mille pezzi cremisi sul pavimento. Aveva perso il controllo, ancora. Jackson ci stava mettendo tutto sé stesso per fare sì che non accadesse, che queste sue crisi di rabbia cieca non si ripetessero e ci stava riuscendo, era così fiero di sé ma qualcosa, quel giorno, quella sera... qualcosa andò storto.
Onestamente non sapeva quando la sua rabbia aveva iniziato a bollire a fuoco lento, ma poteva giurare di aver sentito il lucchetto del suo autocontrollo scattare quando incrociò per i corridoi quella là: era di buon umore, lui. Aveva tra le mani un sacchetto di biscotti ai frutti rossi -i preferiti di Gabriele- che era riuscito a farsi dare dal burbero cuoco, intenzionato a portarli dal maggiore per vedere uno di quei rari sorrisi che gli illuminavano l'anima. Stava saltellando e aveva il cielo stellato nelle iridi quando si ritrovò Solei davanti. E quando quella gli disse, non degnandolo nemmeno di uno sguardo, di comunicare ai gemelli che a lei non piacesse giocare al gatto e al topo che la sua felicità appassì e le stelle nei suoi occhi morirono. Ovviamente non lo aveva detto ad Elia ed Edoardo, neanche se ne dipendesse la sua vita l'avrebbe fatto, e nemmeno con Michelangelo e Gabriele aveva accennato la cosa, nonostante quest'ultimo glielo avesse chiesto più volte tra una carezza dolce e l'altra. Le sue labbra rimasero serrate e il viso divenne grigio come le sue iridi.
E il suo malumore, di conseguenza, cominciò a brontolare sinistro, cupo, strisciandogli tra le viscere.Alla fine era scoppiato, come sempre, solo che ora a fatica muoveva le mani e si sentiva dannatamente in colpa e nemmeno lui ne sapeva il motivo; si sentiva inutile, un fallimento, un qualcuno che non riusciva nemmeno a badare alle sue emozioni e provò pietà per sé stesso, perché non riusciva a superare questo suo problema che lo disturbava nel profondo, che lo metteva a disagio e lo faceva sentire fuori posto. A volte pensava, neanche Riele lascia che la rabbia prenda il sopravvento di lui, quindi perché io sì?, e lì si rispondeva che lui non era Riele, non era nulla di straordinario al confronto. Ma non è che Jackson si odiasse o cose del genere, assolutamente no. Nessuno lo amava più di quanto non facesse lui stesso, nessuno gli accarezzava le cicatrici e i segni profondi che aveva sparsi su tutto il corpo con più dolcezza di quanta ne usasse lui, nessuno avrebbe mai creduto in lui più di quanto non facesse lui stesso. No, nessuno. Voleva solo migliorarsi: sapeva di avere questo problema grave, di essere pericoloso, perciò voleva lavorare su sé stesso per superare anche questo ostacolo. Ma per quanto lui provasse a nuotare verso la superficie i tentacoli scuri non lasciavano mai la presa sulle sue caviglie e, ogni volta, lo riportavano giù nelle profondità e lo soffocavano.
E anche quella sera aveva perso, ma lui non era il tipo che si piangeva addosso.Si alzò anche se non si sentiva le gambe, la vista offuscata dalle lacrime e i sensi soffusi lo stordivano ma lentamente, tenendosi strette le mani tra loro per evitare che altro sangue cadesse a terra, si diresse verso il bagno per compiere quelle azioni che oramai erano meccaniche ed istintive. Si disinfettò i tagli profondi e i graffi senza versare nemmeno una delle lacrime che albergavano nei suoi occhi, nessun lamento lasciò le sue labbra e dopo essersi accertato che non ci fosse nessuna scheggia di vetro tra le sue carni si fasciò con non poca fatica le mani tremanti.
Solo dopo quella prassi si rintanò sotto le coperte, abbracciandosi da solo e sentendo una voragine nel petto che si espandeva ad ogni respiro che gli lasciava il corpo: si sentiva solo. Voleva un abbraccio, voleva che qualcuno gli accarezzasse i capelli e gli dicesse che andava tutto bene, che -anche se ne era consapevole- ricadere e sbagliare ancora era lecito, che era stato bravo. Che era bravo. Voleva la sua mamma e mai come prima gli era mancata così tanto, mentre caldi lacrimoni si liberavano e uscivano dai suoi occhi stanchi e immensamente tristi e leggeri lamenti le accompagnavano in quello straziante ballo. Il respiro accelerato e il bisogno fisico di avere qualcuno vicino a sé, che iniziarono a schiacciarlo contro il materasso, peggiorando il suo stato d'animo: stava avendo l'ennesima crisi e voleva solamente che tutto passasse in fretta.
Ma per quanto avesse bisogno di qualcuno accanto non sarebbe andato a piangere da nessuno, gli altri non avrebbero mai dovuto vederlo piangere, non era da lui.
In fondo, Jackson era sempre quello felice e pronto a regalarti sorrisi luminosi, giusto?
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➳ Silent Ribellion
Fantasy{ IN CORSO } ⊱ Cinque ragazzi privati della loro umanità, in un mondo a cui loro non appartengono, sono in continua caduta dentro ad un vortice di malvagità, vendetta, sangue e lacrime. Ma anche quando ci sembra di sprofondare nel baratro e toccare...