54. 𝑇𝑢́𝑐ℎ𝑒

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NICO

Le divinità del pantheon greco sono tante, tutte diverse e molte da tutti conosciute. Però, ce n'è una in particolare a cui Hazel fa sempre riferimento, quando usa i suoi tarocchi. Forse lo fa apposta, da quando le ho detto che mia madre soleva farlo... Non ho ancora avuto la volontà di chiederglielo, di affrontare la conversazione. Mia madre credeva nell'esistenza di una dea superiore che presiede i cieli da un punto nascosto dell'Olimpo. Non si fa vedere, così lascia agli altri la convinzione che siano loro i potenti, ma poi controlla i loro movimenti come un burattinaio che muove fili invisibili. Tutti si accorgono di lei solo quando sono costretti a notare i propri limiti. La dea porta sempre una benda sugli occhi, passeggia appoggiandosi alle colonne con sicurezza, ma qualche volta fa finta di inciampare su uno dei mortali che rivolgono preghiere a entità indefinite...

Credo che l'ultimo malcapitato sia proprio io. L'ho invocata fino a un momento fa e lei ha deciso di assecondarmi. Forse ha stretto un patto con la mia famiglia tempo addietro e io ne sono solo il casuale discendente. Potrei davvero credere nella mia ipotesi, se la mia fosse una famiglia fortunata. Peccato che la Sorte sia una dea così mutevole.

Mutevole come l'acqua calda che prende il colore della bustina di tè classico. Traballa nella tazza mentre entro nella stanza e la Signora O'Leary mi saltella tra i piedi; ho rischiato di inciampare sulle scale e rovesciarmela addosso almeno due volte. Mi chiudo la porta alle spalle e raggiungo la scrivania, dove lascio scivolare sopra il vassoio che ho tra le mani. Si troverà meglio in bilico su una pila di libri, piuttosto che in mano mia, mi basta solo che non bagni tutte le mie cose. Il biondino, che era in piedi di fianco al muro, si avvicina e mi aiuta a raddrizzare la Torre di Pisa.

«Ecco qui» mormoro, allontanandomi. «Sentiti onorato perché ti ho concesso lo sforzo di scendere al piano di sotto e prenderti da mangiare, quando non lo faccio nemmeno per me stesso...» Le ultime parole mi si incrinano in gola. La voce si tira e io sono costretto a tossire per farla tornare. Appena riprendo a parlare non ho più il timbro che oscilla da film horror a documentario. «Di certo non potevo farti scendere in cucina e dirti di arrangiarti» borbotto. Gli lancio uno sguardo di sbieco. «Per Rosa, non per te.» Mi siedo sul mio letto mentre la cagnolina sfreccia verso quello di Jason, aperto davanti all'armadio, si accuccia sul suo cuscino e mi guarda da lontano. Io piego la testa di lato, lei fa lo stesso.

«Spero che pensi a nutrire questo cucciolo più di quanto ti preoccupi di farlo con te stesso...» mi rimbecca Will, guardandomi con un'occhiata saccente. Ci penso io a togliergli l'espressione da studio-medicina dalla faccia, lanciandogli uno dei miei cuscini e poi anche una delle scarpe che ho lasciato ai piedi del letto. Dal suo essere sconvolto credo che abbia pensato che volessi attentare alla sua vita... Non ha idea di quante volte questo pensiero mi abbia sfiorato.

«Fai andare via il medico. Non mi piace. Non costringermi a sbattere fuori anche te, per non avere lui in mezzo.» Incrocio le braccia, scosso da un colpo di tosse. Lui, invece che rispondermi come una persona normale, si incammina lentamente verso di me. Io faccio finta di niente e volto la testa verso la finestra, forzandomi a osservare l'esterno. Mi concentro sul cielo, su Selene che affida il suo riflesso al canale d'acqua sotto di lei, tutto per non sentire il brivido di curiosità che mi scuote dall'interno.

Delle dita calde spingono la mia guancia, facendomi incontrare due occhi azzurri. «Spero di non essere io a darti fastidio, ma in realtà hai solo un innato odio nei confronti dei dottori in generale.» Chi glielo spiega che entrambe le cose sono vere? «Forse non hai mangiato abbastanza mele da bambino da riuscire a essere immune al loro effetto.» Alza le spalle, come se avesse detto la cosa più vera del mondo. Sembra rifletterci su e poi fatica a trattenere una risatina. «In tutti i sensi, però» sussurra. Ci sono volte in cui mi chiedo perché capisco queste allusioni del biondino e non la matematica, ma a quanto pare a ognuno il suo. Mi faccio scappare un colpo di tosse e non faccio niente per spostarmi dalla traiettoria del suo viso. «Maleducato.» Mi spinge una spalla.

Luce nell'Ombra || SolangeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora