40. 𝐹𝑎𝑐𝑡𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑒𝑟𝑏𝑎

246 21 15
                                    

WILL

La corsa per l'interno del teatro mi si marchia sulla pelle e nella mente. Con le risate a fior di labbra, cerchiamo di seminare una guardia che si è accorta di noi troppo tardi. Per spronarmi a muovermi, io ancora stralunato da questa successione di eventi, Nico mi afferra una mano, trascinandomi verso l'uscita. Una volta oltrepassata, passiamo tra le colonne di decorazione all'ingresso, ancora in fila indiana.

Facta non verba. "Azioni, non parole". Qualche volta le parole, per quanto belle siano, sono superflue e il vero modo per comunicare è agire. Forse alcuni gesti non sono spiegabili con un insieme di lettere.
Quando le mani si intrecciano, non hanno bisogno di chiedersi il permesso con parole formali.

Poi Nico sfila velocemente le dita dalle mie, come fosse stato solo un riflesso. Mi lascio superare, rallentando la corsa e lasciando che il respiro pesante si dissipi. Mi fermo proprio in cima alle scale: qui, a un altezza elevata, sono avvolto dal colore del cielo, di un grigio temporalesco. La pioggia? Non mi preoccupa. Non l'ha mai fatto e ancora meno adesso, che sono affiancato da uno spirito così sfuggente: l'unica cosa che importa è il fatto che per suo volere abbia deciso di adattare il suo cammino al mio.

Il volto di Nico mi osserva dal fondo dei gradini, in attesa, con l'espressione di chi non sa cosa aspettarsi. L'unica cosa che risalta di lui è il colore della sua pelle, così chiara per una notte di luna piena da risplendere. Mette i pugni chiusi sui fianchi, il movimento gli stira la camicia sulle braccia e sul petto. Riporto in fretta lo sguardo in basso e nel mio campo visivo spuntano le maniche troppo lunghe della mia giacca scura. Ne accarezzo i bordi con i pollici, sentendo la morbidezza e la qualità del tessuto, prima di stringerli troppo forte e rischiare di stropicciarli.

«Allora? Hai ripensamenti dell'ultimo secondo?» mi domanda un'ombra con alle spalle la città fantasma che è diventata Venezia. Da come lo dice sembra quasi che non gli interessi la risposta: non gli cambierebbe niente dover andare in giro, quanto tornare a casa, nonostante sia stato lui a proporre di andare via.

Inizio a scendere lentamente per raggiungerlo e una volta arrivato a tre gradini da lui, faccio un salto e li supero insieme, atterrandogli di fronte. Barcollo giusto un attimo prima di riprendere l'equilibrio e scotolarmi della finta polvere dalle spalle.

«Incredibile, Solace. Tu si che sei proprio ribelle. Fai attenzione quando cammini, non vorrai mica metterti a calpestare le linee del marciapiede?» mi schernisce, prima di fare un passo indietro per mettere distanza. Ero a un palmo dal suo viso.

Inizia a camminare all'indietro, senza scostare lo sguardo. Le mani gli scivolano nelle tasche davanti dei pantaloni. Qualche volta alza la testa per poter scorgere il cielo, o guarda di lato per capire come si sta muovendo, ma non si gira mai completamente da darmi le spalle. Non strizza nemmeno gli occhi per vedermi nel buio, come se i suoi occhi scuri ne fossero una parte stessa e non abbiano bisogno di sforzi per scorgervi dentro.
A un certo punto mi sembra persino di non vederlo più.

«L'hai scelto apposta? Di vestirti così? Sai, ti mimetizzi davvero bene con la notte. E non parlo solo esteriormente... Hai lo stesso silenzio. La stessa riflessione.» Seguo la scia invisibile della sua presenza, mettendo i piedi dove poco prima li ha messi lui. Il suono di una risatina riecheggia come il verso di una civetta. «Potremmo giocare a uno spaventoso nascondino al buio... Peccato che non siamo ad Halloween, sarebbe stato più azzeccato» pronuncio, cercando di scovarlo tra le ombre.

«Non riuscirai a trovarmi. Sono cresciuto imparando a vivere nascosto, rifugiato negli angoli bui delle stanze. Ringrazio le lezioni di Erebo.» La sua voce appare lontana, ma anche vicina. Sento dei passi, felpati come quelli dei gatti —l'ennesimo campanello d'allarme che mi convince sempre di più della sua natura felina—.
«Ti conviene non infastidirmi, se non vuoi che un giorno di questi salti fuori all'improvviso e ti spaventi.» I rumori si interrompono e alla fine della sua ultima frase una mano mi si posa a un soffio dal collo. Me lo ritrovo alle spalle e appena percepisco la sua presenza salto sul posto, rabbrividendo. Faccio finta di non notare il luccichio di soddisfazione nei suoi occhi.

Luce nell'Ombra || SolangeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora