Episodio Cinque

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Francesco era ancora in punizione.

A dodici anni, oscillava continuamente tra due poli opposti: non voleva essere trattato come un bambino, ed esser messo in punizione come tale, ma, dall'altro lato, non poteva far a meno di combinare guai e pertanto invocava su di sé la giustificazione della propria tenera età, replicando ai severi rimproveri del padre che, no, era ancora troppo piccolo per addossarsi responsabilità che non sentiva di dover gestire, così come lo infastidivano i continui richiami della mamma a mostrarsi maturo, razionale, e così via.

D'altra parte, la medesima strategia veniva adottata dai suoi stessi genitori. A dodici anni, Francesco era ancora troppo piccolo quando si trattava di uscire la sera, di attardarsi con i compagni dopo scuola, di vedere certi film al cinema o ancora di chiedere in regalo certi videogiochi – purtroppo per lui, suo padre era fin troppo esperto di videogiochi e sapeva benissimo cosa fosse appropriato per un ragazzino di seconda media e cosa no. Allo stesso tempo, era ormai grande per fare i capricci, per tormentare i genitori con richieste, incapace di accettare un rifiuto, e per studiare in autonomia.

Nulla di nuovo, in verità. Francesco sapeva di non avere un destino diverso da quello della maggior parte dei suoi compagni di classe. Quando la pagella andava male, veniva messo in punizione: la playstation era la prima cosa a sparire, ma volte gli veniva confiscato il cellulare, a volte ancora, soprattutto se era la madre a impartire la punizione, gli venivano sospesi gli allenamenti di basket – ai quali la mamma era sempre stata contraria, troppo preoccupata che potesse farsi male. C'erano state volte che Francesco aveva davvero desiderato ritrovarsi con dei genitori diversi... benché, ragionandoci, non avessero nulla da criticare.

Sua madre, a differenza di molte coetanee, incastrate nel medesimo ruolo, riusciva a contenere il più delle volte la tendenza a strepitare stizzita e infastidita; in genere, ogni rimprovero non arrivava in forma di una stridula sgridata, secca e decisa, ma di una ramanzina calma, pacata e terribilmente noiosa. Francesco veniva sfinito così, con la noia e la pacatezza. Quanto a suo padre, che non aveva mai osato levargli un dito contro, era capace di farlo sentire in colpa solo con una occhiata. C'era qualcosa nello sguardo severo del padre che gli faceva contorcere le budella. Nemmeno serviva che parlasse, certe volte. Uno sguardo... e si sentiva, davvero, come se avesse ricevuto un ceffone in pieno volto, cosa che suo padre mai s'era azzardato a fare.

Eppure... a volte, si chiedeva davvero come sarebbe stato avere esperienze diverse. Venire punito con uno schiaffone ben deciso, anziché dover dire consegnare il cellulare per il resto della giornata. O una cara vecchia sessione di sculacciate, come sapeva che accadeva ancora, a qualche indefesso compagno di scuola. Avrebbe pianto, sarebbe stato in imbarazzo, ma almeno la questione si sarebbe conclusa all'istante, invece di trascinarlo in una settimana, se non due, di sequestro della console di videogiochi.

Quando andava alle elementari, poco a poco aveva appreso quanti suoi compagni venissero ancora puniti a quel modo. A Francesco sembrava un'usanza anacronistica e assurda. Era abituato, del resto, a essere redarguito sul momento, ma con tutta la calma possibile. Certo, a quella età non aveva telefonini dal quale doversi separare dolorosamente, né console da vedere confiscate. Se insisteva in comportamenti sgraditi, suo madre lo mandava a letto, il più delle volte, soprattutto quando non riusciva a darsi una calmata. A volte sentiva i suoi compagni lamentarsi di una sculacciata ricevuta, e notava che l'imbarazzo che trapelava dalle parole nascondeva appena una sorta di solidarietà, di cameratismo, che solo i compagnetti che venivano puniti a quel modo potevano stabilire tra di loro. Si ritrovò a pensare di esserne quasi invidioso, perché non aveva quell'esperienza così particolare che i suoi compagni condividevano. A volte provava a infilarsi nella conversazione, a lamentarsi anche lui delle punizioni, magari per una nota in classe, ma poi i suoi compagni gli facevano capire chiaramente che non era mica la stessa cosa, e che se non sei mai stato sculacciato è impossibile capire cosa si prova a prenderle.

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