Matt aveva mentito a sua madre: la sera prima non aveva aperto alcun libro e non aveva studiato i capitoli necessari per essere preparato.
Quando la signora Robbins lo aveva avvisato della cena in tavola, lui, gridando da dietro la porta della sua camera, aveva avvisato tutta la famiglia che avrebbe saltato il pasto pur di finire di ripassare.
In realtà, aveva impegnato le ultime ore prima di andare a dormire, a sfidare l'amico Mason a un gioco on line sparatutto: in una classe di venti alunni, quante erano le probabilità che la sorte estraesse proprio il suo nome dal registro per l'interrogazione?
Si era posto il problema per non più di mezzo secondo, arrendendosi all'inutilità di un calcolo statistico impossibile da elaborare e con tutta la serenità di un adolescente, aveva preso il joystick e iniziato la prima di una lunga serie di partite. Solo verso le 02:30 del mattino, i due si erano congedati, dandosi un nuovo appuntamento per la rivincita.
A quel punto Matt, soddisfatto del risultato, era crollato in un sonno profondo, dimentico della scure che, potenzialmente, pendeva sulla sua testa.
Solo la mattina seguente, quando la signorina Pollock entrò in classe, la sua sicurezza aveva iniziato a vacillare.
L'insegnante era una donna di sessant'anni, bassa e minuta, all'apparenza tenera e indifesa, se non fosse stato per quello sguardo glaciale dovuto a un paio di occhi azzurro chiarissimo con cui era solita squadrare la classe ogni volta che percorreva il tragitto dalla porta alla cattedra.
Non aveva mai tempo da perdere, perciò anche quella volta, fece un rapido appello, passando subito al dunque.
Prese il libro di testo e diede il via alla sadica estrazione della sua vittima.
Aprì una pagina a caso, abbinando il numero di questa al corrispondente sul registro di classe.
"Quattordici, Robbins Matthew."
La scure cadde così rapida che Matt non ebbe il tempo di percepire alcun dolore e mentre la testa abbandonava il collo, le sue orecchie ebbero solo il tempo di sentire, in lontananza, gli altri espirare di sollievo.
"Signor Robbins alla lavagna, prego." Lo invitò la donna, marcando il prego finale.
Matt deglutì la poca saliva che gli era rimasta in bocca e si alzò con la stessa rapidità di un condannato a morte.
Percorse il miglio verde fino alla lavagna a passo di formica, la mente in palla, in sottofondo i risolini degli altri scampati alla sciagura.
Non aveva studiato il giorno prima e a dirla tutta, erano tre settimane che non apriva il libro di scienze.
Si era ripetutamente promesso di farlo ma ogni volta, l'irrinunciabile e seducente prospettiva di impersonare il Colonnello O 'Brian e poter ammazzare soldati nemici con munizioni illimitate, aveva sempre avuto la meglio.
Se ne pentì, ma era troppo tardi. Tutta la scena seguente gli si anticipò rapida davanti agli occhi: il voto negativo, molto probabilmente corredato di nota, la furia di sua madre, che avrebbe poi detto tutto a suo padre che, a sua volta, gliene avrebbe suonate di santa ragione.
Non osò guardare in faccia i compagni di classe; solo con la coda dell'occhio, vide Mason sollevato per essere stato snobbato dalla sorte.
Percorse gli ultimi metri fissando lo sguardo in quello di ghiaccio della signorina Pollock, ormai rassegnato a una lenta fine certa.
Mentre si posizionava di fronte alla lavagna, sentì crescere dentro di sé una strana convinzione, del tutto fuori luogo.
Non fece altro se non pensarci. Quello che accadde poi ebbe dell'incredibile.
Erano circa le 9:30 quando il cellulare squillò sulle note di All by myself.
Virgil Bates era immerso nella lettura de L'idiota di Dostoevskij e se ne staccò controvoglia.
Si era concesso una mattinata di relax, lontano dal lavoro e dal tran tran quotidiano cui era abituato da ormai una trentina d'anni.
Lesse il nome sullo schermo; prima di rispondere, si levò gli occhiali da lettura.
"Cosa posso fare per te?" chiese con sincero entusiasmo.
"Credo che abbiamo un problema, signor Bates."
L'uomo dall'altro capo del telefono era evidentemente preoccupato. Virgil mise da parte il consueto buon umore e assecondò lo stato d'animo del suo interlocutore.
"Cos'è successo?"
"Questa mattina, in una scuola secondaria, c'è stata un'istigazione."
Virgil non si spiegò l'allarmismo.
"Non lo trovo un fatto così insolito", rispose con schiettezza, "al giorno d'oggi non è così strano che dei ragazzini delle medie vengano istigati e si rivelino. A quell'età sono talmente bombardati di idee partorite da modelli sbagliati che diventano facili bersagli degli istigatori. È già accaduto anche in altre scuole. "
"Il ragazzino che ha istigato i suoi compagni e l'insegnante, era normale."
Virgil Bates serrò istintivamente la mascella.
"Come fai ad asserirlo con certezza?"
"È stato lui a correre nel mio ufficio per informarmi che la sua classe era uscita di testa" pronunciò l'uomo, l'ansia nettamente percepibile. "Sono andato personalmente a verificare la situazione e non aveva senso il loro comportamento: era come se fossero soldati in piena guerra! Si aggredivano, dicevano di vedere cose che non c'erano, lottavano l'uno contro l'altro, è stato assurdo!"
Virgil si avvicinò alla vetrata principale della sala e si mise a esaminare le sue orchidee. Loro erano avide di luce, esattamente come lo era lui. Quando si è vissuto per secoli nel buio più totale, la luce diventa necessaria come l'aria.
"E il ragazzo?"
"Dice che lui era alla lavagna per un'interrogazione, quando tutti gli altri hanno cominciato a dare di matto."
"Come avete risolto?" chiese Bates, senza mostrare cenni di turbamento. "Vedenti?"
"I vedenti non avevano motivo di intervenire, signore, perché l'intera classe è tornata normale da sola."
Virgil rimase concentrato sui boccioli nuovi, rielaborando rapido quanto appena sentito.
"Signore... c'è ancora?"
"Sì." Rispose dopo qualche istante.
"Com'è possibile che un normale istighi altri normali senza usare il proprio istigatore?" domandò l'uomo dall'altro capo del telefono.
"Non è possibile."
"Allora come è possibile che l'istigatore si sia rivelato da solo negli altri, senza una vera istigazione?"
Virgil Bates temeva di avere la risposta, ma voleva sperare, fino all'ultimo, che non fosse quella giusta.
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La Rivelazione di Adriel
FantasyAdriel ha tredici anni, non ha una madre e vive con suo padre Ben che di anni ne ha solo ventinove. I due non vanno molto d'accordo, specie perchè da qualche tempo, Ben si comporta in modo strano: è freddo e distaccato e spesso, quando rientra dal...