Brucia.
Brucia di ruggine, di spilli arroventati puntati nella carne.
Brucia di uncini. Di acido.
Il pavimento di piastrelle sbrecciate puzza di piscio e sa di sangue. Le celle di un carcere hanno pavimenti diversi. Lastre di pietra, cemento. Un tanto al metro quadro. I pavimenti delle celle non sanno di casa. Forse è questo il dettaglio che fa più paura.
Assieme alla porta di legno che mi tiene chiuso qui dentro; alla maniglia di ottone.
Le celle hanno sbarre di ferro; le celle hanno gabbie. Ed aria che ci passa in mezzo. Suoni di cristallo da dentro a fuori. Occhi che ti guardano, carcerieri che puoi sorvegliare.
Le celle non devono conoscere intimità.
Intimità: è questo che fa più paura.
Fa paura. Fa male.
Perché nella cloaca di dolore dove sono rinchiuso, Padre Milan ha pensato a tutto.
Ha costruito una intimità che fosse mia. Dove coltivare ogni centesimo di sofferenza. Ed assaporare meglio la sua tenerezza brutale.
Brucia.
In mezzo alle gambe. Sotto.
Brucia così forte che più provo a capire cosa sia, più finisco per cercare nei posti sbagliati.
Gli ami sottili del dolore si fanno strada altrove. E le sensazioni sono così acuminate che entrano nella carne. E ciascuna scava percorsi diversi.
Brucia. Afferra la bocca dello stomaco.
Strizza.
Strizza, scuote, ci si appende.
Vomito; prego di annegare nella mia stessa vergogna.
E quando finalmente trovo coraggio - un bel respiro - e decido che sentire non basta, che devo toccare, vedere coi polpastrelli in quel buio di cloaca...
Capisco finalmente che tutto, ogni singolo frammento del male che provo è solo colpa mia.
È una faccenda dannatamente privata. Me, il mio Io più profondo e quello che da settimane vado pregando. Nel buio di questa stanza.
Come settimane, mesi prima, nella stanza di un motel, col sudore lurido che un porco qualsiasi mi lasciava addosso, per il gusto di sentirsi sporco. Oppure nella stessa stanza, col sapore in gola che qualche debosciato mi mandava di traverso, per il solo gusto di farmi capire quanto gli facessi schifo.
O sul parquet di quart'ordine della palestra.
In mezzo a schegge di ossa e grumi di cervello.
Com'è che ripete Padre Milan quando mi sta addosso?
Hqraehin, il dolore che brucia è la preghiera che si fa Verbo.
Una questione privata.
Quanto l'ho pregato, questo giorno, perché arrivasse?
Un sogno fantasticato ogni notte.
Cercato ogni mattina, con le mani a frugare tra le cosce.
Dita deluse che inciampavano in quella carne molle e sempre troppo ingombrante.
Quel cazzo scomodo, sempre di traverso, sempre di mezzo.
Eccolo quel dolore. Eccola la carne che brucia.
Muta.
Si nasce scoppiando, come gemme che vomitano fuori petali elettrici di seta e colori.
Lì sotto: eccolo il sogno. Le litanie di Milan, i miei sogni malati.
Quelle preghiere che ho cambiato. Prima ho pregato con tutto il dolore che m'uccidessero, poi che restassi vivo.
Come Milan mi insegnava. Come Milan voleva.
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Le nuove labbra di Ibrahim Josic - Archology 0.004
HorrorNella scomoda e terrificante cornice del primo conflitto civile nella ex Jugoslavia, la storia di un orfano che si ritrova a sperimentare, drammaticamente, gli orrori della guerra e l'Orrore, puro, semplice e cosmico, che vive negli interstizi tra q...