Insicurezze

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Harry pov

Conoscere una persona fino al punto da farla diventare una parte di te è pericoloso.

Impari a conoscere le sue abitudini e i suoi gusti e poi, senza accorgersene, un odore ti ricorda lei e ti dà il tormento perché la pace, tu, non la vuoi.

Conosco Lav da talmente tanto tempo che posso citare in ordine alfabetico ogni sua insicurezza, categorizzando quelle che sono innate e quelle che non aveva prima di Sean.
Maledetto coglione.

Conosco il suo bagnoschiuma e il suo profumo, ma la pesca e l'argan sono troppo dolce su di lei; i sali da bagno al sale marino, quelli mi fanno impazzire.

Conosco il suo colore preferito e sono geloso di Ludovico Einaudi perché niente le fa battere il cuore come il suono del suo pianoforte.

Ho provato ad imparare, ma senza successo, ecco perché a volte canto, sussurrandole i testi delle sue canzoni preferite.

So che preferisce il gelato alla nocciola piuttosto che quello al cioccolato e che si sente in colpa ogni volta che accetta la cialda in omaggio.

So che i capelli rossi la rendono insicura, ma so anche che al tramonto, quando il sole è basso e la sfiora, non c'è nessuno che possa competere con lei, nemmeno quando si nasconde il viso dietro le mani perché quando Lav si veste di insicurezze...

Io vorrei leccargliele via tutte, mentre il mondo scompare piano sotto i suoi passi.

«Fammene un altro, Tommy»

Spinsi il bicchiere lungo il bancone in legno scuro, guadagnandomi un'occhiataccia dal ragazzo che stava asciugando il bicchiere che teneva in mano.

«Hai detto che era l'ultimo.»
«Tre giri fa.» Mi pizzicai il naso, vicino agli occhi. La testa diventava sempre incredibilmente pesante quando ero triste. O quando ero ubriaco. «Come vedi riesco ancora a contare, e comunque non ti pago per parlare.»

Lo guardai, posando gli avambracci sul bancone. «Fammene. Un altro.» scossi la testa. «Per favore.»

Mi guardò senza dire niente per un po' prima di versare il gin nel bicchiere con un po' di limone e più ghiaccio di quello che mi piaceva ammettere.

Fece scivolare il drink davanti a me con cautela, prima di tornare a sistemare il resto dei bicchieri.

Conoscevo Tom da anni: eravamo amici di vecchia data perché frequentavamo sempre la stessa scuola,  e andavamo insieme a ogni festa. Poi finite le superiori, iniziò a lavorare nel pub dei suoi, mentre io iniziai a passare sempre più tempo insieme a Lavinia e quindi conciliare gli impegni  divenne sempre più difficile.

Da un po' ero tornato ad essere una presenza costante nella sua vita, anche se non come avrebbe voluto. E mi dispiaceva, mi dispiaceva davvero perché Tom era un buon amico e si meritava che lo fossi anche io, ma non potevo fare a meno di bere e di starmene a casa.

Il modo in cui il gin bruciava la mia gola era direttamente proporzionale al modo in cui annientava i pensieri: li ovattava e mi permetteva di cullarmi tra di essi come se fossi un neonato tra le braccia della madre.

Inghiottii tutto il contenuto prima di strizzare forte gli occhi per colpa dell'amaro che avevo in bocca, quando la campanella della porta attirò la mia attenzione. O meglio, una voce che mi sembrò familiare.

Non dovevo voltarmi per capire di chi si trattasse, ma lo feci ugualmente. Il suo sorriso spavaldo stampato sul volto, la giacca a quadri sulle spalle e un dolcevita qualunque. Lo sguardo fisso sul cellulare e, casualmente, sull'orologio che aveva al polso.

Mi voltai in tempo non appena si avvicinò al bancone per chiedere da bere.
Maledetto Sean.

«Una pinta, grazie.» il modo in cui sorrideva mi dava la nausea.
«Arriva subito.» Rispose Tommy cortese.
«Senza ghiaccio, s'intende.» Disse con una punta di sarcasmo e saccenza tanto che in quel momento, senza volerlo, le parole uscirono senza il benché minimo controllo.

«Solo un coglione metterebbe il ghiaccio nella birra. E a questo proposito, mi chiedo perché tu non ce lo voglia.» Mugugnai.

Lo sentii voltarsi per guardarmi e irrigidirsi dopo aver realizzato di chi si trattasse. Ma si ricompose subito, pronto a pungere come aveva sempre fatto.

«Harry.» Disse arrogante, tenendo in mano il bicchiere prima di tornare a guardare di fronte a sé. «Ti trovo bene.» Si portò il bicchiere alle labbra.

«Vai al diavolo.» Mi rigirai il bicchiere tra le mani, senza degnarlo di uno sguardo. Non stavo bene da quando lei non era lì a chiedermi come stessi ma non gli avrei dato alcuna soddisfazione.

«Ti porterò volentieri insieme a me.»
«Di che diavolo parli?» Mi voltai per guardarlo mentre si strinse tra le spalle, con gli occhi ancora puntati sul suo bicchiere.

«Ti sei messo in mezzo. La colpa è soltanto tua.»
Si fermò per guardarmi, poi si avvicinò così che potessi sentirlo molto chiaramente. «Se tu fossi rimasto al tuo posto, sarebbe ancora con entrambi.»

Mi ritrovai a stringere i pugni tanto forte da avere i segni delle unghie nei palmi. Continuai a non guardarlo, ma la sua voce mi risuonò nel petto, mescolandosi con il risentimento che avevo sempre provato per quel maledetto idiota.

Respirai profondamente quando lo sentii parlare un'altra volta e fui certo che, se avesse potuto, non avrebbe mai pronunciato quelle parole.

«Le hai fatto fare la figura della puttana.» Fu una voce sibilante proprio vicino al mio orecchio e fu il colpo di grazia. Aveva dato la colpa a me, aveva offeso i miei sentimenti per lei, ma in quel momento stava offendendo Lav.

La mia... Non importa.

Non ero sicuro di niente, ma non avrei mai permesso a quel lurido figlio di puttana di dire una parola di più.

E accadde in fretta.

Scattai dallo sgabello e lo afferrai per la giacca, lo guardai negli occhi alcuni attimi prima di sferrargli un destro in pieno viso. Poi ancora. E ancora.

Sentii qualcuno afferrarmi la camicia per allontanarmi e quando mi accorsi di Tommy, mi sentii in colpa per averlo allontanato con una spallata.

Il cuore mi batteva a mille e il sangue nelle vene scorreva all'impazzata. Volevo esserne soddisfatto, ma il sorrisetto compiaciuto che aveva sulle labbra mi fece capire che aveva ottenuto esattamente ciò che stava cercando: una reazione.

E io ero stato uno stupido ad avergliela data.

Lo afferrai per la maglia e lo avvicinai a me, parlando piano e scandendo ogni parola con l'indice rivolto verso la sua faccia.

«Una sola parola su Lav.»Mi fermai solo un attimo.«azzardati a dire soltanto un'altra parola e ti prometto che avrai molto più di un paio di pugni. Hai la mia parola, Miller »

Alzò le mani in segno di resa con la solita faccia compiaciuta quando lo lasciai con uno strattone.

Presi la giacca di Jeans, me la infilai e senza degnarlo di uno sguardo confermai quello che gli avevo già detto mesi prima.

«Non te la sei mai meritata.»

E proprio quando fui sul punto di uscire lo sentii dire qualcosa che non mi fece voltare perché, per quanto mi costasse ammetterlo, era la verità.

«Nemmeno tu.»

Nota autrice

Maaaa se vi dicessi che questo é un bonus di buon anno e non il vero capitolo?
A più tardi stelline

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