Capitolo 3 - Il Sole

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Daniel rabbrividì a quella parola.

Lo Splendente.

Urian riuscì a scorgere nei suoi occhi il movimento impetuoso di certi mari del nord. Non erano più di quell'azzurro trasparente, ma onde scure su cui la nebbia celava velieri fantasma.

Nell'osservarli Urian fu sottratto dalla realtà, strattonato in quelle acque furiose e indomabili. Perse la sigaretta che scivolò via dalle sue dita immobili.

Lo assalì la sensazione terribile che qualcosa incombesse nascosto tra le onde. Era una minaccia enorme. Emergeva dagli occhi di Daniel per schiacciarlo con il proprio terrore. Lo investì con una tale violenza che dalla gola di Urian uscì un gemito.

A quella reazione Daniel allontanò lo sguardo. Tutto d'un tratto i mari del nord si ritrassero e Urian ritornò al presente soleggiato. Si guardò intorno frastornato. Fino ad un attimo prima era in mare aperto, cumulonembi oscuravano il cielo, ma adesso intorno a lui c'erano i palazzi fatiscenti della periferia di Stoccarda, sulla pelle sentiva di nuovo i raggi del sole.

"Cos'è... cos'è successo?"

Daniel parve non sentire la domanda, fece qualche passo per allontanarsi. Si piegò sulle ginocchia, nascondendo il volto incassato tra le spalle. Appariva teso in un tentativo di resistenza. Ricordava un bastione assaltato da un esercito tanto tenace da minacciare di riuscire nell'impresa di abbatterne le mura.

Urian maledisse la propria goffaggine che gli impediva di trovare qualcosa da dire, maledisse anche il fatto di aver aperto bocca fino a quel momento. Perché era ancora lì? Ma non andò via. Gli si avvicinò, incerto, quando gli fu accanto notò che Daniel aveva cominciato a respirare profondamente.

"Non dire quella parola."

Non c'era alcuna minaccia nella sua voce, solo una supplica flebile a cui rispose accennando un segno di assenso con la testa. Guardò Daniel rimettersi dritto, aggiustare il cappotto e cercare di ricomporsi.

"Qual è il problema?" domandò Urian con un certo imbarazzo.

"Nessuno può dire chi, o cosa, siamo. Io non oserei dirlo nemmeno di me stesso. Ma di certo non sono splendente, guardami" ritrovò tutta la sua voce su quell'ultima parola, la pronunciò quasi gridando, allargò persino le braccia per mostrargli l'evidenza.

Urian non trovò il fegato di dirgli che in un certo modo lo faceva, splendeva. Ora era tutto chiaro. Era il tramite del Sole, la sua luce lo circondava. Era un dettaglio a cui si faceva attenzione solo standogli vicino e osservandolo per bene. Non avrebbe saputo spiegarglielo, né ne ebbe modo, al suo silenzio Daniel reagì con impeto.

"Non risplendo!", sputò quella parola come a volersela togliere di dosso.

Urian lo guardò. Lo guardò per bene, esortato dall'occhiata implorante di Daniel. Non indossava la tonaca bianca, o i paramenti sacri, nessuna spilla dorata con il simbolo del sole. Aveva abiti comuni e sul volto un'espressione furiosa che aveva strappato dai suoi occhi ogni luminoso scintillio.

"A stento sembri un mistico del Sole in questo momento"

Daniel parve disorientato, poi annuì, "grazie".

Urian accennò un sorriso, "non ne ho mai visto uno perdere le staffe come te".

"Nemmeno io" e nel confessarlo Daniel sospirò e fece finalmente ricadere le braccia lungo i fianchi.

"Facciamo una passeggiata, c'è un parco qui vicino."

***

Raggiunsero il parco dopo una camminata silenziosa. Il mutismo in cui era immerso Daniel non lasciava trasparire niente più di un'espressione assorta. Urian riusciva ad intuire che dentro di lui qualcosa si agitava, non era in grado però, di aprire alcun discorso. Sentiva solo un fastidioso senso di colpa, che lo aveva spinto ad acconsentire a quella richiesta.

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