Capitolo 17 - I ricordi di Daniel

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[Attenzione: ci sono state delle modifiche, il nome Rufus è stato sostituito con Anselm]

Quando la realtà empirica prese forma, ogni Arcano le offrì una parte di sé.

Il Sole le donò la luce.

La soffiò nel cielo e negli esseri viventi, perché risplendesse sempre. La sua guida avrebbe soccorso gli uomini alla ricerca della verità, a patto che la paura e l'odio non oscurasse la loro anima.

Negli occhi del generale Anselm vidi quella paura, lo trascinava affondo, nelle tenebre affiorate dentro di lui, avrei potuto vagare nella sua mente per giorni e non avrei trovato nemmeno una scintilla di ragione. Il terrore lo spingeva a fuggire da sé stesso per cercare l'unica luce che nel grigio cupo in cui eravamo immersi era davanti ai suoi occhi, innegabile, sul mio palmo.

Non cercava la verità. Fuggiva da qualcosa dentro di sé. Voleva la salvezza che veniva da fuori, dentro di lui non c'era alcuna forza, né fede. Nessuna luce avrebbe potuto brillare nelle sue mani. L'avrebbe soffocata, viziandola con la paura. La stessa che spinse la sua mano all'elsa della spada.

Lo vidi estrarla e non appena il mio globo luminoso fece baluginare la lama tremai, perché non avrei saputo sopraffarlo, non solo perché lui mi superava in abilità, o perché intorno a me si assiepavano i miei compagni in numero maggiore a quanti potessi affrontarne, ma perché conoscevo quell'uomo e sapevo che la paura era l'unica ragione per cui agiva in quella maniera.

Come avrei potuto aggredire una persona che aveva paura?

La sua spada vibrò nell'aria e prima che potessi agire, prima che potessi pregare il Sole, ancora prima che potessi capire che sarei morto perché non ero in grado di fare ciò che andava fatto, un'altra spada corse a incrociare la sua.

Il clangore mi esplose nelle orecchie, ad un soffio dal volto. Una mano forte mi cinse la spalla e mi spinse via. Non ebbi bisogno di alzare gli occhi sull'uomo che era venuto in mio soccorso, la volontà di frapporsi tra la follia di Anselm e la luce, aveva qualcosa di troppo familiare perché potesse confondermi.

Era lui.

Lo scacciademoni che già mi aveva salvato una volta, ora ripeteva quell'impresa. Rispondeva ai fendenti di Anselm con una foga che ricordava la volontà irrefrenabile di una valanga, trascinava con sé tutti coloro che erano in grado di ingaggiare battaglia.

Alle sue spalle lo guardavo sbalordito, le volute di nebbia già si avvolgevano intorno alla sua figura man mano che la concitazione dello scontro lo attraeva a sé. Ascoltai i moti della sua anima. L'apparente sanità mentale che lo spingeva in quell'intento eroico reggeva le sue fondamenta su una paura abbacinante.

Temeva per la luce, temeva per la mia vita.

Quella paura era una bestia nera che si avventava su chiunque fosse lì pronto a farmi a pezzi. Notai allora che non usava incantesimi com'era solito fare. La luce era sfuggita anche dalla sua mente. Però, non dal suo cuore. L'unico singulto di ragione che ancora possedeva mi gridava di scappare. Non con la voce, ma con un imperativo emotivo che mi arrivava come un pugno allo stomaco. Scappa.

Scappa.

SCAPPA!

Ma io non potevo scappare.

Se c'era ancora qualcosa di buono nello scacciademoni, qualcosa che lo spingeva a proteggermi, allora non potevo abbandonarlo. Guardai la luce che avevo sul palmo, attingeva a quella che c'era dentro di me, il soffio del Sole che avevo ereditato dai miei genitori. Loro mi avevano salvato da una guerra simile, era tempo che restituissi quell'amore.

Cercai lo scacciademoni nella calca, era proprio lì ad impedire che gli accoliti mi raggiungessero. Pregai. Chiesi al Sole che una parte della mia luce andasse a lui. Pregai perché gli restituisse chiarezza tra i pensieri e la usasse a fin di bene.

La luce è un'essenza potente dell'anima umana. Travalica la completa comprensione, è quella forza che ti spinge ad avanzare quando tutto ciò a cui puoi aggrapparti è un'emozione, la speranza, che in altre parole vuol dire amore. Rinforza la fiducia in se stessi, emerge nel cuore come un'onda di nuova energia, affiorata dal nulla, una tenacia che non si sapeva di avere.

Sperai che lo scacciademoni sopravvivesse, perché privarmi anche solo di un po' della luce che mi apparteneva mi rendeva più sensibile al buio, più debole, più confuso, più disperato. Sperai anche che non fosse troppo tardi, che quel dono non si dissipasse in una mente ormai troppo buia.

Quando le energie mi abbandonarono, drenate via per volontà del Sole, lo ringraziai per avermi ascoltato. La luce che avevo sul palmo si fece più fievole e a poco a poco più trasparente, finché non lasciai che scomparisse.

Mi mossi in cerca di una parete a cui appoggiarmi per riprendere fiato, non potevo fare altro per lui. Lo osservai solo di sfuggita, prima di allontanarmi, le sue spalle, larghe e possenti, ondeggiavano come l'albero di un veliero in mezzo alla tempesta. Sapeva che avevo intenzione di recarmi alla bibilioteca del Reggente, se mai fosse sopravvissuto, se mai fosse sopravvissuta la sua luce, la ragione dentro la sua mente, mi avrebbe cercato.

Le mie gambe, molli e barcollanti, si mossero seguendo quel suo imperativo, ora forte più che mai.

Va' via. Fa' ciò che devi.


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