Capitolo 12 - I ricordi di Daniel

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Urian ripensava alla propria armatura, al peso delle placche di metallo sopra la giubba e al suono delle cinghie di cuoio quando le stringeva. Non sempre aveva avuto il tempo d'indossarla con la stessa cura con cui l'aveva indossata la prima volta. Tuttavia, quei dettagli si erano insinuati nella sua mente. Riusciva a rievocare la sensazione dei ganci delle cinghie sotto le dita, un tempo era capace di chiuderlo anche ad occhi chiusi.

Amava la sua armatura. Come amava l'ansia prima della battaglia, la confusione dell'accampamento, la tensione strategica di superare in astuzia il nemico, ma soprttutto il senso di cameratismo che aveva reso i suoi compagni la sua famiglia. Amava tutto questo in funzione del fatto che amava la sua patria.

Alpeh gli aveva strappato il diritto di indossare la sua armatura, ma non aveva potuto cancellare niente quell'amore.

Daniel doveva aver amato la sua terra, così come la sua famiglia, alla stessa maniera.

"Alla fine l'hai fatto comunque" concluse Urian. Lanciò a Daniel un'occhiata che divenne in fretta un sorriso d'intesa. "Ti sei unito ai Corpi di Pace, non è vero?".

Daniel ricambiò il suo sorriso, poi fece un segno di assenso, "il generale Anselm radunava volontari tra coloro che avevano raggiunto la maturità. Sebbene mancassero pochi mesi ai miei diciassette anni Anselm avrebbe accettato di coinvolgermi con l'approvazione del direttore dell'Accademia. Ma Amis non avrebbe mai acconsentito, riteneva che fossi ancora troppo immaturo."

Urian posò gli occhi sul selciato, osservò le punte dei suoi anfibi, il terriccio si sollevava ad ogni passo, coprendoli di polvere. Un tempo poteva specchiarsi nelle proprie scarpe. Ordine e pulizia erano seconde solo ad obbedienza e dedizione. L'aveva forgiato una lunga educazione militare che aveva reso la sua mente una fortezza.

Daniel, invece, era diverso.

Alzò lo sguardo su di lui, sul volto conservava la sua espressione assorta, gli occhi rivolti al cielo, sospinti dall'immagine di chissà quale ricordo. Forse nascondeva la propria forza, ma fino a quel momento gli era sembrato un individuo troppo molle persino per tenere una messa, figuriamoci per affrontare una guerra.

"So a cosa stai pensando", Daniel aveva un tono divertito. "Pensi che non sarei stato in grado di fare ciò che andava fatto per sopravvivere. Ed è vero, lo sapevo anche io. Non perché non fossi addestrato, o abbastanza abile con il misticismo, ma perché non sarei stato capace di uccidere nessuno", si soffermò su quelle parole, rallentò il passo e si fermò "ero un idealista. Inoltre pensavo che a Liverpool avremmo semplicemente aiutato a spegnere l'incendio e curare i feriti. Non andavo lì per combattere. Andavo per aiutare e... beh, per indagare."

Più che idealista, direi ingenuo. Urian scacciò quel pensiero. Non era lì per polemizzare, dovevano arrivare al punto.

"Quindi, cosa hai fatto?"

Un sorriso beffardo sollevò un angolo delle sue labbra, "m'intrufolai nella nave che sarebbe salpata in direzione di Liverpool. Anselm mi trovò poco dopo che lasciammo il porto dell'Accademia. Pensai mi avrebbe rispedito indietro, invece mi diede una cappa bianca e mi disse di non creare problemi."

***

Eravamo salpati all'alba per avere il favore del sole, ma il cielo plumbeo che calò non appena lasciammo l'Accademia oscurò la sua luce. Per molti di noi era la prima missione per conto del Sole, il fatto che ad accompagnarci non ci fosse la presenza confortante dell'occhio dell'Arcano era spaventoso. L'ansia serpeggiava dall'uno all'altro, soffocava le voci in sussurri. Facce che cnoscevo da sempre si fecero via via sempre più pallide.

Quando avvistammo terra ci accalcammo tutti sulla poppa, ci prememmo alle paratie. Il moto d'ansia si mescolò all'eccitazione, scalpitava tra di noi la voglia di agire, di aiutare e in definitiva di provare il nostro valore.

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