Capitolo 3

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Lo vide davanti a lei, seduto in poltrona.

Sì, erano seduti nel soggiorno del loro nuovo appartamento. Metro quadrato dopo metro quadrato, lei e Jack stavano proprio ritagliandosi il loro meritato posto nel "grande disegno delle cose", come lo chiamavano.

Quel che era fuori posto, lì dentro, era suo padre.

Il vecchio signor Davoli era come minimo a mille miglia di distanza spaparanzato sul suo divano a guardare qualche canale spazzatura del digitale terrestre nel vecchio Bel Paese... Eppure Clara lo vedeva lì a pochi passi da lei. Se si fosse sporta oltre il tavolino di vetro avrebbe potuto sfiorargli la mano, quella grossa mano vecchia e callosa che negli anni aveva imparato a conoscere fin troppo bene.

Suo padre era livido in volto. Il colore della sua pelle era mutevole, attraversava tutte le sfumature del viola e del nero, per poi sfumare in un grigio cinereo. Aveva gli occhi strabuzzati: sembravano due grosse bilie striate di sangue che roteavano in orbite troppo piccole per contenerle.

Le labbra erano rapprese e secche e quasi svanivano nel taglio della bocca.

Tremava. Tremava così forte che era come se dentro di lui si stessero scatenando una decina di scosse telluriche, uno sciame sismico che lo attraversava dalla testa ai piedi.

«Papà?» mormorò Clara e la voce le suonò aliena e lontana.

I colori del soggiorno erano spenti. Era come muoversi in un quadro color seppia o nella pellicola di un vecchio film. L'unico riflettore di quel mondo grigio e inerte era puntato sulla poltrona di suo padre. Non aveva mai visto quella poltrona: era di pelle rossa

(rossa come il sangue)

e pregiata e antica, roba che lei e Jack non si sarebbero potuti permettere, di certo non dopo la bancarotta del vecchio signor Tremont, suo suocero.

«Papà?» chiamò ancora.

L'uomo con il volto di suo padre inchiodò gli occhi rossi su di lei e cercò di aprire la bocca per parlare, ma non ci riuscì. Il vistoso doppiomento cominciò a ingrossarsi, come se da dentro gli stesse risalendo un conato di vomito che non riusciva a espellere. La gola gli si gonfiò, ma le labbra rinsecchite rimasero chiuse come una morsa d'acciaio.

La pressione spinse ancora più in fuori gli occhi, mentre il signor Davoli tremava e lottava contro la cosa che gli risaliva da dentro.

Anche Clara sentì l'urgenza di vomitare.

Vide piccole bollicine di schiuma fare capolino dagli angoli della bocca di suo padre. Era come guardare una pentola a pressione in procinto di esplodere.

«Parla», si ritrovò a dire, «parla dannazione, che cosa vuoi dirmi?»

Fece per alzarsi, ma una forza invisibile la ricacciò con prepotenza a sedere. Doveva guardarlo mentre si disfaceva dall'interno, doveva guardare suo padre consumarsi senza poter intervenire.

Urlò ancora.

«Apri quella dannata bocca, aprila perdio, che vuoi dirmi? CHE CAZZO VUOI DA ME?»

Davoli ruotò verso il soffitto gli occhi che ormai erano ridotti a grumi di sangue umido e artigliò il braccioli della poltrona continuando a dimenarsi come un condannato che muore fulminato sulla sedia elettrica.

Clara si coprì gli occhi per non guardare.

Ci fu un'esplosione e per un istante le parve di sentire un getto di sangue che la investiva; sì, sangue misto ai pezzi di carne dell'uomo che un tempo era stato suo padre. Ne era ricoperta, sporca dalla testa ai piedi.

Allontanò a fatica le mani dal volto e guardò in basso. C'era qualcosa sul suo grembo, qualcosa grosso quanto un pallone da calcio ma che non pesava. Era solo umido e sporco e bagnato e impalpabile...

Era la testa di suo padre.

L'intera stanza ora era tappezzata con i resti di Davoli. Era esploso dall'interno come un uomo che ha ingurgitato una bomba a mano o un kamikaze imbottito di tritolo.

Clara vide le fila di intestini che adornavano le travi del soggiorno e ripensò ai festoni che Jack aveva con tanta cura sistemato per il suo compleanno di tre anni prima, quando le aveva chiesto di sposarlo.

Vide i brandelli di carne, gli organi ridotti a una poltiglia scura e poi quella testa, quella grossa testa spelacchiata staccata dal corpo a cui era saltato via un occhio: penzolava lungo la guancia ancora attaccato al nervo ottico.

«Bimba», disse la testa muovendo a fatica la mascella disarticolata, «bimba mia...»

Clara tese le mani per scacciare via la testa in preda al terrore, ma non poteva, quella cosa parlante era intangibile, era sopra di lei eppure non riusciva ad afferrarla. Continuava a muovere la bocca e a macchiarle il pigiama

(aveva indosso il pigiama di quando era bambina, quello rosa con le mezzelune disegnate ovunque)

col sangue che sgorgava dal collo come acqua sporca da un tubo rotto.

«Bambina mia», diceva mentre i suoi denti erano in procinto di sbriciolarsi, «bambina mia», ripeteva e quell'occhio dondolava a ritmo come un pendolo che scandisce i secondi mancanti alla fine del mondo.

«Bambina mia... Ascoltami... Ascoltami...»

Lui mi troveràDove le storie prendono vita. Scoprilo ora