Capitolo 6

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Daniela, sua madre, si era imbottita di sonniferi per riuscire a dormire e Jack era steso sul divano. Tranne le parolacce non capiva un'acca di italiano, non poteva guardare la TV e lì internet non c'era.

Clara se ne stava al buio nella sua camera con le gambe strette al petto e il mento sulle ginocchia. Si metteva sempre così da bambina quando suo padre (il vecchio orco cattivo) la sgridava per una stupidaggine delle sue.

«Leggi troppi libri pieni di stronzate», le aveva detto una volta fissando con malcelato disgusto la copertina di Harry Potter e il Calice di Fuoco.

«Manuel, non dire certe cose», l'aveva redarguito sua madre, ma le sue parole erano efficaci tanto quanto un insetticida spruzzato su un vecchio e cocciuto rinoceronte.

Clara ricordava di aver tenuto con ostinazione gli occhi fissi sulle pagine. Era convinta che se l'avesse ignorato prima o poi si sarebbe stancato, ma era stata una pessima mossa.

Harry e Ron stavano più o meno per scendere al Ballo del Ceppo quando Davoli le aveva strappato di mano il libro e lo aveva scagliato dall'altra parte del soggiorno.

Il libro era rimbalzato contro il muro, era caduto sul comodino accanto al telefono e aveva fracassato una delle statuine di porcellana di sua madre. Mamma andava matta per quei ninnoli, ne collezionava di ogni tipo e in camera aveva due intere mensole piene di statuine di animali, pastori e simili.

Mamma aveva squittito ed era corsa a raccogliere i cocci del defunto elefantino di porcellana.

In quel momento, Clara li aveva detestati entrambi. Suo padre che sembrava odiare tutto ciò che non rientrava nel suo più che ristretto campo visivo e sua madre che sembrava amare quelle dannate statuine più di lei. Sembrava o era davvero così?

Avrebbe voluto chiederlo a suo padre, ma ormai era troppo tardi. Poteva sperare che le sue parole gli arrivassero tramite il famigerato corriere espresso Terra-Cielo, ma francamente non sapeva nemmeno dire se il vecchio orco si era meritato un posto tra le schiere di pennuti celesti.

Quel che sapeva era che il giorno in cui suo padre aveva scagliato via il libro, lei aveva desiderato di ammazzarlo col pensiero. Lo ricordava bene, lo aveva fissato con gli occhi roventi di lacrime e aveva cercato di ammazzarlo col solo pensiero. O di farlo sparire per magia. Era stupido, ma non aveva potuto farne a meno. Era convinta che in tanti facessero la stessa cosa quando litigavano coi genitori, ma questo non la sollevava.

Visto che a quanto pareva non era ferrata in Difesa contro le Arti Oscure (ah-ah) e visto che suo padre continuava a torreggiare su di lei invece di svanire nel nulla, aveva cercato di urlargli contro, ma le erano mancate le forze.

Suo padre l'aveva sempre considerata debole. In ogni discussione la incitava a rispondergli, ma lei non c'era mai riuscita, si bloccava prima. Andava sempre a finire così, con lui che le mollava un paio di sberle per «Raddrizzarle il carattere» e con lei che si rinchiudeva in camera al buio, proprio come quella notte.

Lì, nell'oscurità, gli anni passati a New York sembravano un sogno lontano. Perfino il silenzio era irreale. Si era abituata al rumore della Grande Mela, all'odore, al vociare, al suono di qualche sirena che riempiva l'aria ogni ora... Quel silenzio le faceva paura. Quando c'era silenzio le voci dentro la testa sgusciavano fuori dai loro nascondigli e cominciavano a bisbigliare, a ricordarle cose che sarebbero dovute rimanere segrete...

Un po' come l'armadio.

Sì, ora ricordava. Come aveva fatto a dimenticarsi del suo armadio?

Accese la luce sul comodino accanto al letto e guardò il vecchio armadio stuccato di bianco poggiato contro la parete opposta all'entrata. Era un guardaroba piccolo e rovinato, niente a che vedere col bestione che lei e Jack avevano nel loro appartamento.

Quando le cose andavano male era lì che correva a nascondersi, proprio dentro quel guardaroba. Da bambina, oltre che Harry Potter, aveva divorato pressoché qualunque saga fantasy le fosse capitata tra le grinfie e Narnia era tra le sue preferite.

C'erano state notti in cui suo padre aveva picchiato sua madre. I loro litigi non erano mai lunghi e quasi sempre si concludevano quando il Grande Orco alzava la sua vecchia mano callosa. Mamma capitolava sempre e si limitava a singhiozzare come un cane bastonato. Proprio come lei.

Quando li sentiva, dalla sua stanza, si rintanava nell'armadio e le piaceva immaginare che tanti bambini facessero la stessa cosa quando le cose andavano male. Magari non era l'armadio, ma tutti dovevano avere un posto speciale in cui fare ritorno, un posto solo per loro.

Ricordava che parlava, lì nell'armadio, si raccontava storie e fantasticava sepolta tra i vestiti appesi, immersa nel profumo della naftalina. Il tempo sgusciava via e quando usciva la guerra era finita.

Eppure crescendo si era dimenticata del suo posto speciale. Un po' come ci si dimentica dei giocattoli a cui si era tanto affezionati. Passavi anni a parlare con un orsacchiotto di peluche o con una bambola e poi, senza rendertene conto, li abbandonavi al loro destino togliendo loro perfino il saluto.

Sì, è stato bello, ma ora ho altre cose a cui pensare, ok? I ragazzi, l'università, sai, sono troppo impegnata in questo periodo, proprio non ce la faccio a chiamarti.

Chissà dov'erano finiti i suoi giocattoli. Non ne aveva mai avuti molti ed era probabile che sua madre se ne fosse sbarazzata da tempo. Restava quell'armadio, però.

Scese dal letto e si fermò al centro della stanza. Fissò per un po' l'armadio a braccia conserte, perplessa. Lo ricordava molto più grande, molto più sicuro. Crescendo, il mondo perde la sua magia. Ecco perché esistono i libri: per ricordarci che anche noi, un tempo, quella magia la sentivamo.

Accarezzò la superficie dell'armadio e ritrasse quasi subito la mano.

Il legno era freddo. Troppo freddo. Era come accarezzare una lastra di ghiaccio.

Doveva essere un'allucinazione dovuta allo stress. Sì, anche se pregno di umidità il legno non diventa ghiaccio.

Lo toccò di nuovo

(la mano le tremava leggermente)

e sorrise. Era stata la sua immaginazione che aveva pensato bene di giocarle un brutto scherzo. Bella mossa amica, che ti inventi la prossima volta? Un'ombra nel corridoio, la voce di mio padre che mi chiama

(nei sogni)

sotto un lenzuolo da fantasma?

Eppure era inquieta. Su di lei era calata un'ombra, tanto tempo fa, quando Jack le aveva fatto la Proposta. C'erano state immagini, come sequenze di una vecchia pellicola erosa dal tempo; immagini che erano state sepolte con tutto il resto. Seppelliamo gli incubi come tesori nascosti e li lasciamo lì sotto, sperando di dimenticarci della loro esistenza, ma la mappa è tutta nella nostra testa e, prima o poi, torniamo sempre a sbirciarla.

L'armadio è aperto, pensò Clara.

Tese l'orecchio e le parve di udire un rumorio soffocato lì dentro. Prima non c'era, ne era sicura. Era come... Non sapeva descriverlo, come se qualcosa stesse grattando il legno.

Aprì l'anta dell'armadio e urlò.

Lui mi troveràDove le storie prendono vita. Scoprilo ora