Capitolo 9

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«Il sonno è migliorato?»

«Eh?»

«Il sonno. Riesce a dormire in questo periodo?»

«No.»

Il dottor Mace si sporse in avanti intrecciando le dita sotto il mento. Fissò Clara interi istanti pieni solo di silenzio. La faceva sempre sentire a disagio, Mace, quando la guardava così. Jack aveva detto che era un bravo medico. Sua madre ebbe un crollo nervoso quando lui era ancora al college e Mace l'aveva «Rimessa in sesto.»

Con lei, però, non funzionava.

Era in cura da quanto? Due mesi abbondanti ormai e ancora non erano venuti a capo di nulla. Di notte non riusciva a chiudere occhio. Non aveva appetito, sebbene Jack si fosse dimostrato sempre premuroso nel prepararle pasti leggeri a pranzo e a cena. Certi giorni crollava, dormiva per dieci ore di fila (rigorosamente di giorno) e si svegliava più stanca di prima.

Mace aveva detto che quella era una reazione naturale del suo organismo che si ribellava "all'insonnia", ma quelle ore di riposo non servivano a lenire il dolore nel suo cervello. Aveva un chiodo arroventato conficcato al centro della fronte che da due lunghi mesi scavava e scavava.

«Mi parli della sua vita sessuale», riprese Mace spezzando il silenzio. «Come va con Jack?»

Clara rise di un riso nervoso.

«Non c'è molto da dire.»

«Peggio per la mia parcella allora», scherzò Mace, ma Lara non rise.

«Non facciamo l'amore da settimane.»

Era una bugia. In realtà il sesso era una delle poche cose di cui le restava ancora voglia. Forse anche troppa. Era... Come dire, un modo per scaricare le frustrazioni, spegnere quel dannato cervello che non la smetteva di sferragliare. Ma anche il sesso era diverso. Non era quasi più un gioco, piuttosto una sessione di palestra.

Dio, quanto si faceva schifo. Odiava vederla in quella maniera, ma il problema era che non c'erano altri modi.

Mace aggrottò un sopracciglio cespuglioso. Non era convinto della sua risposta. A volte temeva che riuscisse a leggerle dentro. C'era gente capace di capire se qualcuno mentiva dalle contrazioni involontarie dei muscoli del volto, dalla postura e così via.

Signore e signore vi presento il cugino sfigato di Patrick Jane, pensò Clara trattenendo un altro sorrisetto nervoso.

«Lei e Jack parlate?»

«Sì. Sì, parliamo molto. Cioè, no, non troppo. Lui è molto premuroso. Non ho idea di come faccia a sopportarmi.»

«La ama.»

«Sì, questo lo so.»

«Se lo sa allora non ha bisogno di chiedersi perché lo fa.» Mace sorrise.

«Già.»

«Eppure sapere di essere amata, di avere un lavoro, una vita, non basta a farle dimenticare suo padre.»

«Voi psicologi collegate tutto ai genitori.»

«Be', non sempre, ma nel suo caso credo sia più che appropriato.»

Anche su questo aveva ragione. Mace aveva sempre ragione su molte cose. Le sue parole erano come ferri da calza che poco a poco sbrogliavano il groviglio di pensieri che aveva dentro. Mace tendeva il filo e le diceva: «Ecco, visto? Niente nodi», eppure lei i nodi li vedeva eccome. Erano nodi scorsoi.

«Ne abbiamo già parlato fino allo sfinimento.»

«Se lei fosse davvero sfinita, la notte dormirebbe invece di rigirarsi tra le coperte.»

La provocava per farla uscire allo scoperto. Era come un segugio che fiuta i problemi e li stana. Era lì per aiutarla (previo lauto compenso, grazie), eppure non riusciva a convincersene completamente. Forse era per questo che mentiva. Non voleva confidargli tutto, non voleva aprirsi completamente; una parte di lei voleva solo fuggire via.

«Abbiamo finito per oggi?» tagliò corto Clara dopo altri secondi pieni di silenzio.

«Quasi. Volevo proporle una terapia.»

«Una terapia?»

«Sì. Non si preoccupi, niente di costoso, credo. Anche se dipende da lei.»

Clara si appiattì sulla poltrona. La luce del tardo pomeriggio che filtrava dalle vetrate dello studio le bruciava gli occhi. Era come un vampiro.

«Sentiamo.»

Mace si alzò, fece un giro attorno alla scrivania e si sedette sul bordo con le mani congiunte in grembo dandosi un'aria di nonchalance.

Clara lo seguì sempre più tesa. Ormai tutto le faceva paura, dai clacson ai cani che abbaiano alle sirene delle ambulanze...

«Lei correva, giusto? Era un suo hobby se non ricordo male.»

Sì, usciva a correre tutte le mattine prima dell'università, qualcosa come una vita fa.

Clara annuì.

«Ora ha smesso. Frequenta sempre meno anche l'università e ha rimandato il suo progetto di ricerca a data da destinarsi.»

Sì, pianta qualche altro chiodo sulla mia cassa da morto vecchio rincoglionito.

Mace sorrise. «In altre parole, ha un sacco di tempo libero. Anzi, le dirò di più, lei sta buttando il suo tempo. Deve fare qualcosa, ma non qualcosa che sia correre o studiare, qualcosa di costruttivo. Di creativo.»

«Mi sta dicendo che devo mettermi a dipingere?»

Mace si strinse nelle spalle. «Se vuole. O lavorare l'argilla. O scrivere, se preferisce.»

Clara scosse la testa. «Lo scrittore è Jack. Ci pensa già lui a imbrattare la carta.»

«Be' il fatto che lui scriva non esclude che possa farlo anche lei. Anzi, potrebbe esserle ancor più d'aiuto. Intendo, immagino che Jack sarebbe lieto di leggere qualcosa di suo, non crede?»

Non credeva. Anche perché Jack era a dir poco spietato con tutto ciò che leggeva. Gli scrittori si tollerano poco a vicenda.

«Potrei provare a dipingere...»

«Perché no? Vede, deve trovare un modo per portare fuori tutto quel veleno che la sta logorando da dentro. Parlare può essere utile, evidenziare la radice del problema ancor di più, ma nessuno può liberarla da quel veleno, tantomeno io. Quel che posso fare e dirle che creare qualcosa di suo è un buon modo per staccare la spina e liberarsi delle sue pene.»

«Lo fa sembrare facile.»

«Forse lo è. Ma questo dipende da lei. E poi che cos'ha da perdere? Un po' di acquerelli, una tela e dei pennelli. Poca roba rispetto a una notte di sonno profondo, no?»

Clara deglutì. Era poca roba davvero.

Lui mi troveràDove le storie prendono vita. Scoprilo ora