Capitolo 12

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Sognare dopo così tanto tempo fu un'esperienza strana. Avrebbe preferito sognare unicorni, arcobaleni o caramelle, ma anche in quel caso doveva accontentarsi di un incubo. Il male non le dava pace nemmeno nei sogni.

Quando si svegliò, sudata e scossa, l'incubo era ancora vivido, stampato nelle sue retine come il flash di una macchina fotografica.

Aveva sognato suo padre. Di nuovo. Già, che altro avrebbe potuto sognare?

Questa volta il vecchio orco però era vivo e vegeto e la inseguiva. Era intrappolata nella tromba delle scale della sua vecchia casa in un continuo saliscendi che ricordava uno di quei quadri di Escher.

Suo padre le era alle calcagna. Ogni volta che si sporgeva da una delle mille ringhiere verso il vuoto sottostante poteva vederlo arrancare come un orco o un troll nel disperato tentativo di guadagnare terreno. Anche quand'era lontano, sentiva il suo fiato appiccicarsi sul collo come una cosa viva.

Era un demone col volto di suo padre e voleva farle del male. Avrebbe voluto correre più veloce, ma era bambina e aveva le gambe corte e i gradini diventavano sempre più alti. I pianerottoli tutti uguali le davano la nausea e nel fondo del suo cervello sentiva il verso gutturale di suo padre chiamarla.

L'avrebbe violentata. Le avrebbe strappato i vestiti e l'avrebbe infilzata, sventrata in due con il suo arnese mentre la imbrigliava con le vecchie mani callose. Le dita di suo padre si contorcevano come zampe di ragno pelose.

Giunta all'ultimo pianerottolo aveva guardato in basso e non l'aveva visto. Il mostro era sparito.

Poi c'era stato un rumore dietro di lei e lo schioccare di un migliaio di mandibole di ragno.

«Bambina mia...» aveva detto. Poi più niente.

Si era svegliata appena in tempo, aspettandosi di vedere Jack accanto a lei, ma lui non c'era. O meglio, era lei a non essere con lui.

Cercò D con gli occhi, ma non lo vide. La stanza da letto era del tutto aliena, ma doveva ammettere che era arredata con gusto. C'erano un sacco di quadri alle pareti e libri ovunque. Fuori, l'alba stentava ad arrivare.

Fece per alzarsi, ma la luce si accese non appena ebbe posato i piedi sulla moquette.

D emerse dal buio del corridoio con due tazze di tè fumante tra le mani. Poggiò la spalla allo stipite della porta in una posa che le ricordò molto Jack. Provò una stretta di vergogna al cuore, ma durò un attimo: il tempo di annegare lo sguardo in quello di D. Ogni volta che lo guardava sembrava sempre più bello.

«Brutti sogni?» chiese posando una tazza sul comodino accanto a lei.

«Già. Ma almeno sono riuscita a dormire», disse Clara con voce arrochita.

«Mi sono permesso di preparare del tè. Io in genere dormo pochissimo e ho preso l'abitudine di farmi un tè ogni volta che mi alzo. Spero ti piaccia.»

«Grazie.»

Aveva fatto l'amore con lui. Con uno sconosciuto. Erano bastati pochi mesi di insonnia per spingerla a darla al primo tizio incontrato al bar?

No, tra lei e D era scattato qualcosa. Non avrebbe mai tradito Jack, lo amava e...

«Ehi, che stai pensando?» disse D accarezzandole con dolcezza la guancia. Le alzò con garbo il viso e le soffiò un bacio caldo sulle labbra. La testa le si alleggerì in un istante e il mondo sprofondò nelle iridi azzurre di D.

Dopo aver fatto l'amore per la seconda volta rimasero in silenzio abbracciati sotto le coperte. Il corpo di D era caldo, quasi bollente, eppure il battito del suo cuore era debolissimo, quasi inesistente.

Lui mi troveràDove le storie prendono vita. Scoprilo ora