Inizio

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Emilia era indignata. Non aveva raccontato una bugia. Non era stata lei a rompere il vaso d fiori in biblioteca. La colpa era tutta di Timothy, il fantasma della soffitta.

Era una giornata piovosa e ad Emilia non era stato permesso uscire a giocare in giardino con il fango o a saltare nelle pozzanghere. Divieto che trovava particolarmente ingiusto. Aveva quindi deciso, per fuggire alla noia, di esplorare la villa; cosa che ovviamente aveva già fatto diverse volte, in differenti occasioni e per motivi del tutto disuguali, ma nonostante le esplorazioni che aveva portato a termine, l'edificio era così immenso che ormai era convinta che neanche con cento anni a disposizione sarebbe riuscita a scoprire tutto quello che celava nelle sue numerose stanze. Questa volta la sua meta sarebbe stata la soffitta. Emilia in particolare si dilettava nello scovare manufatti rotti, oggetti che più nessuno voleva, perché erano quelli più interessanti, quelli con un racconto molto più ricco di avventure, quelli che avevano più bisogno che qualcuno li trovasse e li riportasse alla luce per narrare gli eventi che portavano con loro. L'accesso al sottotetto era dato da una piccola porticina turchese situata in uno dei numerosi salotti lungo l'ala est. Una volta aperta, essa portava a una breve ma ripida rampa di scale in legno che una volta superata dava su un immenso spazio, vasto come tutta la Zona Est. La casa ospitava infatti quattro soffitte. Ora, per la bambina esisteva unicamente uno dei Quattro Solai e una giornata di pioggia da superare. Il Solaio Est custodiva tutti i vecchi giocattoli che erano appartenuti alla sua famiglia ancor prima che lei nascesse, perché anche se poteva sembrare strano, una volta anche gli adulti erano stati bambini. La bambina si guardò intorno e sorrise. Poi notò qualcosa di insolito al limitare della camera. Un cavallino a dondolo aveva iniziato a muoversi cigolando lentamente e poi con sempre più foga. Sulla groppa era seduta una grossa bambola vestita da re che sembrava la causa di tale movimento. Emilia decise di indagare, al posto di scappare come avrebbe invece fatto la maggior parte dei bambini della sua età. Ma una volta raggiunto il cavallo, si rese conto che la figura sul suo dorso non era affatto una bambola, bensì un bambino con indosso una corona di cartone e uno straccio rosso a cingergli le spalle come un mantello. Stringeva una spada di legno e fingeva di essere un eroico condottiero che guidava le sue truppe in battaglia. Il bambino sembrava del tutto normale, uguale a qualsiasi bambino di sette anni proveniente da una famiglia benestante; solo un piccolo dettaglio stonava nella sua normalità: il bambino era trasparente e "sfilacciato". Tanti fili si propagavano dal suo corpo e fluttuavano in aria come tentacoli.
Il piccolo re si accorse della sua presenza e si voltò a guardarla. Il suo sguardo prima stupito iniziò a riflettere una gioia sempre più grande.
"Ciao" la salutò,
"Ciao" rispose educatamente Emilia
"Chi sei?"
"Sono il Re dei Goblin, al vostro servizio, Madamigella...?"
Emilia sorrise e con un elegante inchino allargando i lembi della gonna, si presentò stando al gioco "Io sono la Signora del Bosco o mio Re, come posso offrirle i miei servigi?".
I due bambini si osservarono, felici di aver trovato entrambi un nuovo compagno di giochi. Passarono il resto del pomeriggio insieme, combattendo contro eserciti di orchi spietati e streghe cattive, rincorrendosi l'un l'altro per tutto l'ampio luogo in cui si trovavano, fino a quando non stramazzarono entrambi sul parquet impolverato ridendo a crepapelle. Il pendolo del salotto che dava accesso al Solaio Est batté sei colpi e Emilia con aria triste disse al suo nuovo amico: "Devo andare, mi staranno cercando e tra poco è ora di cena." Il Re dei Goblin la guardò e poi timidamente le chiese: "Domani verrai a trovarmi di nuovo?". Emilia lo guardò, gli strinse la mano ed esclamò: "O mio Re, certo che domani verrò di nuovo a recarvi visita, d'altro canto io, La Signora del Bosco, e lei, dobbiamo ancora sconfiggere la vecchia Regina strega delle Lande Perdute del Vecchio Regno a Ovest del Mondo conosciuto."
Entrambi ridacchiarono, forse per il lungo titolo della loro nemica, forse perché volevano prolungare ancora il tempo all'interno del loro mondo immaginario.

Da quel giorno i due si incontrarono di nuovo, a volte imbattendosi per caso nelle stanze della casa, senza essersi dati appuntamento. Solo dopo due settimane entrambi si presentarono con i rispettivi nomi e solo dopo quattordici giorni Emilia scoprì la vera identità e storia del Re dei Goblin.
Si trovavano entrambi nella Sala del Tè nella sezione Nord. La stanza era arredata con una carta da parati verde foresta con tante piccole rose dipinte a mano. Un enorme camino al centro della stanza ospitava un allegro fuocherello che si era però spento d'improvviso con la comparsa di Timothy. Due divani decorati con una stoffa azzurro pastello si guardavano a vicenda, paralleli, di fronte al camino. A separarli un tavolinetto basso dove era stato riposto un vassoio d'argento con tazze, biscotti e un'alzatina con dei sandwich. Il resto dell'ambiente ospitava due statue greche dalla forma di ancelle che porgevano ceste colme di frutta ad immaginari commensali e del semplice mobilio in legno pregiato. Emilia se ne stava seduta su uno dei due divani, le gambe a penzoloni mentre sorseggiava del tè da una tazzina in porcellana che teneva con entrambe le mani. Il Re dei Goblin era scompostamente divaricato sul divano opposto, mangiando un biscotto che non faceva altro che riempirlo di briciole, ma al bambino non sembrava interessare troppo. "Allora mio Re" iniziò Emilia "mi rivelerà mai la sua vera identità?". Il bambino smise di mangiare il biscotto e la guardò con i suoi due occhioni color del cielo. Grattandosi la testa bionda rispose: "Perché la vuoi conoscere?". Il suo sguardo ora si era spostato sul tappeto persiano e sembrava avere tutt'un tratto un'aria malinconica. "Perché sembri triste?" domandò in risposta Emilia; il bambino sollevò lo sguardo, poi scomparve e riapparve vicino a una delle statue "PERCHE' LO SONO!" esclamò. Emilia era ormai abituata agli scoppi di emozioni del suo amico, sempre accompagnati da sparizioni e apparizioni da un luogo ad un altro, quindi si limitò a osservarlo con aria interrogativa fino a quando il bambino, sbuffando, non ritornò al suo posto sul divano e iniziò a raccontare: "Il mio nome è Timothy Acy, vivo in questa casa dal 1805, l'anno in cui sono nato e ho 7 anni e mezzo." Detto questo la guardò con aria di sfida, come se Emilia volesse prendersi gioco di quello che lui aveva appena detto, poi riprese: "I miei genitori morirono quando ne avevo sei e mia zia si trasferì qui per prendersi cura di me ma, dopo un anno e mezzo mi ammalai e rimasi a letto così a lungo che la servitù insieme a mia zia decisero di abbandonarmi. Sono rimasto solo molto a lungo, e poi sei arrivata tu." Emilia lo guardava con la boccuccia leggermente aperta, il sandwich che stava mangiando dimenticato nella mano sinistra mezzo mangiucchiato. Non era possibile. Certo Timothy a volte era strano, scompariva e riappariva e poi era sfilacciato e trasparente ma non poteva aver avuto sette anni mezzo per ben ottantacinque anni.
"Perché mi stai guardando così? Forse ti fa ridere il mio nome? O il fatto che tutti mi abbiano abbandonato?" chiese Timothy con un accenno di rabbia mista a malinconia. Emilia, che non voleva che il suo amico si arrabbiasse si affrettò a dire "No certo che no, ero solo stupita... Io sono Emilia."
"Vai avanti" la incitò il bambino" io ti ho detto molto più che il mio nome" "Mi chiamo Emilia Malinverno, sono nata nel 1889" qui si interruppe per vedere se Timothy avesse reagito a sentire la data, ma egli si limitò a fissarla, impaziente che lei continuasse a parlare "i miei genitori si sono trasferiti in questa tenuta quando avevo solo sei mesi, alla ricerca di un luogo lonatno dai centri cittadini e immerso nella natura. A causa del lavoro di ricerca di mio padre e della passione di mia madre per il canto viaggiano molto e quindi non li vedo quasi mai. Ma mi hanno lasciato questa grande casa da esplorare, e poi ho sempre cameriere e maggiordomi ad ascoltarmi e a esaudire qualsiasi mia richiesta. Ho anche una governante. Lei però è antipatica." Concluse "Quindi anche tu sei stata abbandonata" disse Timothy tutto contento "Be' non proprio, qualcosa nel mezzo direi" lo corresse lei. Ma il bambino sembrò non ascoltarla. "Vieni" le disse e prendendola per un braccio la trascinò via dal divano verso i corridoi, portandola verso un nuovo gioco da fare insieme. Quella sera, nel letto, Emilia non fece altro che rabbrividire ... Le settimane passavano e Emilia e Timothy trascorrevano ogni giorno insieme. Emilia però era scontenta, ogni giorno Timothy diventava sempre più possessivo e insistente. Se Emilia non poteva venire a giocare con lui, perché stava facendo il bagno oppure i compiti, lui si arrabbiava e qualsiasi oggetto presente nella stanza iniziava a lievitare e a schiantarsi contro le pareti. Più Timothy si sentiva abbandonato e arrabbiato dal rifiuto più danni le stanze subiva e toccava sempre ad Emilia prendersi la colpa e ripulire.

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