Codardia

25 6 38
                                    

La vanità striscia per i vicoletti, calcia i ciottoli e si insinua nelle case. La accogli, non riesci a liberartene. Diventa un’amica da cui non puoi fuggire, e il suo dito provocatorio ti indica come in giudizio. Ma sai che senza di lei non sei nulla, sei solo, sei niente; e accogli il suo aiuto per quel secondo, misero secondo in cui ti senti al di sopra di tutti.

Le parole le uscirono da sole. Scrisse per un lungo lasso di tempo, forse dieci minuti ma senza una sosta. La matita sporcò quel foglio bianco disegnando linee regolari, curve e punti. La sua mente era ancora in quello strano incontro, in un momento in cui, per quanto fosse risultato semplice e di poca importanza, sentiva che le parole del Pavone l’avevano scossa, come se per la prima volta avesse aperto gli occhi. Sotto alla poesia, teneva il disegno del Pavone, simile ai piccoli amici che ritraeva negli anni passati, quando giocava nei boschi o nel prato vicino. Non lo aveva mai visto, ma in quella creatura aveva sentito le sensazioni che aveva provato con loro.

Sentì bussare e nascose i fogli dentro ad un cassetto della scrivania, immaginando l’eventuale perplessità nel vedere quelle parole tanto scomode e quelle immagini forse troppo disturbanti per una ragazza della sua età. Suo padre entrò piano, salutandola con un filo di voce e portando con sé un piatto. Béatrice in effetti non aveva mangiato nulla, quando era rientrata in casa avevano notato nel suo sguardo qualcosa di preoccupante, come se fosse sconvolta. Aveva posato il cestino in tutta fretta, salutato quasi di sfuggita e si era chiusa nella sua stanza per tutto il tempo.

Il padre si avvicinò alla scrivania posando il piatto dove erano presenti una piccola pagnotta e qualche fetta di prosciutto, accarezzò la schiena della figlia trasmettendole affetto e fiducia, quasi avvertendo un leggero disagio da parte della ragazza. Qualche suo collega lo aveva rassicurato di non preoccuparsi; che arrivati a una certa età tutti i figli erano inclini a respingere l’affetto e la presenza genitoriale. Era uno stadio scomodo ma normale: gli adolescenti iniziano a dare priorità a ciò che li soddisfa e si chiudono in sé stessi fino a che non sono sicuri di immagazzinare le nuove emozioni. E David avrebbe anche dato ascolto a tali parole, se solo ne fosse stato abbastanza conscio della figlia che aveva cresciuto. Non era normale che Béatrice si chiudesse così in sé stessa, lei che aveva sempre avuto piacere a raccontare e condividere ciò che le accadeva.

Sentì però quella nota di disagio, quasi la sua presenza non fosse gradita.

E lei avvertiva quelle sensazioni negative che non riusciva a controllare. Avrebbe però voluto dire a suo padre che la sua presenza non era scomoda e che la sua vicinanza in quel momento aveva un valore prezioso; ma aveva bisogno di pensare, incanalare le idee e metabolizzare quei sentimenti che stavano improvvisamente prendendo posto nel suo inconscio. Non aveva subito nulla di violento, in fondo era stato un pomeriggio regolare, ma sentiva che qualcosa in lei stava cambiando, mutando la sua forma in una diversa immagine.

“Tutto bene tesoro? Oggi mi sembri un po’ spenta” chiese David inginocchiandosi accanto alla sedia della figlia con voce rassicurante, senza sembrare troppo pressante. Negli anni aveva imparato ad accogliere le emozioni della ragazza gradualmente in modo che lei potesse confidarsi piano piano, sentendosi sostenuta e al sicuro. Sperò che lo stesso approccio avrebbe invitato anche in quel momento la ragazza a confidarsi.

Béatrice però non voleva parlarne, di quello che era successo non sentiva di poterlo confessare ad estranei. Le piume di corvo poi avrebbero ribaltato la situazione e, se lo sentiva, non avrebbe ottenuto l’effetto sperato. Voleva prima capire da sola che piega stesse prendendo la sua vita.

Il corvo dice bugieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora