-1- Nitora Road

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L'ultima, solitaria virgoletta di Sole si eclissò dietro un fumoso orizzonte di tetti scuri e appuntiti. 

I fasci di luce, che prima avevano indorato i profili affilati delle eleganti inferriate lungo tutta Nitora Road, sfumarono in una fredda penombra, di lì a poco cancellata dall'accensione del primo lampione.

Londra si stava preparando alla notte.

Quasi tutti i larghi finestroni delle abitazioni, che si affacciavano direttamente sul sontuoso viale, racchiudevano le medesime tenebre, sinonimo di proprietari troppo ricchi per soggiornare a lungo in un unico luogo.

Nitora Road stessa, i cui minacciosi cancelli venivano sigillati al calar della sera, sfociava in una piazzetta circolare dove il mosaico di ciottoli convergeva nelle sinuose linee di un'antica fontana.

Dietro quei vivaci zampilli d'acqua danzante si ergeva, in tutta la sua austera eleganza, casa Noblineage.

Ed era proprio nell'oscurità di una delle vetrate al terzo piano che due occhi color del cielo vegliavano indolenti sull'abbraccio del crepuscolo, scorgendo gli ultimi mutamenti di una giornata giunta ormai agli sgoccioli.

Daniel stiracchiò un po' gli arti sulla superficie laccata di una massiccia scrivania in ebano, le spalle pizzicate da un ridicolo completo da cerimonia, stretto quel tanto da togliergli il fiato.

Teneva le pupille fisse in avanti, in attesa del minimo movimento, ma tutto pareva tremendamente immobile. 

Solo il bagliore abbacinante dei fari di qualche automobile solitaria disturbava le ombre, filtrando tra le inferriate dove la via incontrava la strada babbana che costeggiava il parco di Fated Hill.

Si era rifugiato nella tranquillità della sua camera, anelando qualche istante di tregua dagli angoscianti preparativi che avevano soverchiato gli equilibri dell'intera abitazione. 

Giorni infernali di inutili controlli, fastidiose raccomandazioni e interminabili cambi d'abito per assicurarsi il successo di un ricevimento a cui non voleva nemmeno partecipare.

D'altronde, per un ragazzino di undici anni come lo era lui, un salone gremito di uomini facoltosi si traduceva solo in una vagonata di occhiate critiche e paroloni difficili.

Tortura che si sarebbe volentieri risparmiato se avesse avuto voce in capitolo.

Eppure...

Alla porta risuonarono alcuni colpi, secchi ma frettolosi. Indussero il ragazzino a voltare il capo nelle tenebre, dove il mobilio ricercato appariva solo come un intricato groviglio di linee argentate perse nell'ombra.

«Avanti.»

La maniglia scattò e l'uscio scivolò in là quel tanto che bastava da allargare un cono di luce sulla fitta trama del tappeto verde berillo ai piedi del letto. 

Seguirono alcuni secondi di immobilità prima che il profilo di un naso estremamente lungo e appuntito facesse capolino dal pannello di legno bruno.

«Padroni Signori domandarsi perché Signorino Daniel non essere già di sotto. Padroni mandato Devoty a controllare» una vocetta acuta, così stridente da ricordare un'unica corda di violino, infranse il silenzio.

«Scendo subito, Devoty, non preoccuparti.»

Daniel saltò su dalla sedia mentre la creatura azzardava un timido passo nella camera, scrutando l'ambiente con i suoi lucidi occhi a palla.

«Devoty raccomanda sempre Signorino di non rimanere al buio» gracchiò, il capo chino che mostrava una cuffietta di pizzo color malva.

Si udì uno schiocco e tutti i candelabri alle pareti brillarono all'unisono. Daniel fu costretto ad assottigliare le palpebre per riparare gli occhi, ormai abituati all'assenza di tutto quel chiarore.

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