Capitolo 4

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24 luglio: SILVIA (prima parte)

Me ne sto seduta al banco da lavoro di mio nonno e fingo di essere occupata a decorare uno dei nuovi vasetti in terracotta, mentre penso alla morte.

Se è stato deciso che devo morire perché non un incidente?

Sarebbe stata una fine ragionevole, rapida e indolore, invece adesso mi tocca un tumore. Può diventare una lunga e sofferente scocciatura. Aghi infilati nelle braccia, puzza di ospedale come una seconda pelle, faccia da zombie due giorni su tre nonché la caduta dei capelli, non era certo quello che mio nonno si aspettava facessi nei miei vent'anni, o come li chiama lui, gli anni delle follie.

Non ho avuto il coraggio di dirglielo. Forse lo faranno i miei che lo hanno saputo non appena ho messo piede in casa quel giorno, dai miei occhi rossi e gonfi prima che dalle analisi o da me. Diciamo che l'hanno presa abbastanza bene, per quanto sia possibile. Se mia madre ha cercato conforto nella preghiera, mio padre mi ha incoraggiato a vedere il lato positivo, provando a convincermi che questo tipo di cose succede solo a chi può sopportarle. Ma la percepisco comunque, la verità, nei loro sguardi, e l'orgoglio che brillava per la loro unica figlia è stato sbalzato dalla preoccupazione.

Lo capisco, sarà la cosa più difficile che abbiamo mai dovuto affrontare come famiglia. Un tumore non diventa solo una tua responsabilità, la tua vita, perché anche se non è un virus infetta tutti quelli che ti stanno vicino. Hanno già fatto tanti sacrifici per me, non se lo meritavano.

Ehi tu lassù, hai capito? Non se lo meritavano.

E per quanto pretenda una spiegazione o qualcuno a cui dare una colpa, non c'è. Allo stesso modo in cui non c'è un perché al fatto che ti innamori o un motivo razionale a ciò che accade all'interno di un buco nero. Quello è, punto.

Alzo in aria davanti a me, il vasetto per stabilire se il cuore che ho dipinto non abbia una gobba più grossa dell'altra. Fa schifo. Cosa mi sia venuto in mente di accettare la proposta di Gemma, la proprietaria del risto-bar in cui lavora mia madre, su al lago. L'accordo è che suo marito mi consegna i vasetti che realizza, io li abbellisco come ho sempre fatto per hobby con gli scarti del legno di mio nonno e lei li vende con un seme di Non-ti-scordar-di-me nascosto nella terra. Trovata geniale per spennare i pochi turisti che vengono da queste parti e che cercano un souvenir da portarsi a casa come ricordo delle Alpi. Il mio guadagno è davvero esiguo ma quei due soldi li avrei usati per aiutare i miei con le tasse dell'università, prima, adesso pagherò la benzina per andare all'ospedale. I sogni mi sa che li chiudo in un cassetto con la speranza che, in un futuro non troppo lontano, qualcosa di bello possa capitare anche a me.

Mi muovo per recuperare il pennello delle rifiniture, che si trova nel bicchiere sul mobiletto un paio di passi più in là, quando sento il grembiule farsi pesante e mi ricordo troppo tardi di averci appoggiato sopra il vasetto. Lo vedo cadere ma non in faccio in tempo a salvarlo che il cuore è già rotto a metà sul pavimento. Sbatto le mani sul tavolo e per poco non ribalto anche gli altri oggetti dalla foga. Raccolgo i due pezzi divisi di terracotta e li getto nello scatolone insieme alle altre cose da buttare.

È meglio se vado a prendere una boccata d'aria, non posso presentarmi così da Lorenzo. Il sabato sera è il nostro appuntamento settimanale Risate e patatine e con il suo sesto senso non si scherza, fiuta a chilometri se sono giù di morale e oggi lo sono decisamente. No, non lo sa ancora e no, non sono pronta a rivelarglielo. Evito di dargli una ragione in più per sospettare che qualcosa non vada e rispondo all'ultimo dei dieci messaggi che mi ha lasciato con un pollice in su.

Magari la maratona di Cattivissimo me mi farà ridere sul serio.

Metto il cellulare nella tasca dei jeans stracci e sporchi di polvere della falegnameria e mi incammino verso il lago. Gli alberi si chiudono sopra la testa come un tunnel e oscurano il sentiero nascondendo la luce residua del sole. L'odore di legna appena tagliata che la brezza diffonde tra i tronchi secchi è forte, lascia un retrogusto lacustre per ogni passo che faccio verso la cima della montagna.

Di posti non ne ho visti molti e questo forse troppo spesso, ma tutte le volte che salgo quassù, il lago mi spezza il fiato dalla bellezza. È un sogno ad occhi aperti.

Lo specchio d'acqua si sdraia calmo e riflette i giganti verdi che lo abbracciano tutt'intorno. Sopra di me è solo cielo e le sfumature rosa di cui è velato annegano sulla superficie liquida. L'ultimo chiarore si posa sull'enorme terrazza che si affaccia a strapiombo e in lontananza i fari del ristorante si accendono per la cena. Mi guardo intorno e restano solo una famiglia, una coppia di anziani e qualche altra persona a godersi l'azzurro ingoiato piano piano dal blu della sera.

Nel mio angolino vuoto, mi sistemo a gambe incrociate, inspiro ed espiro.

Inspiro. Espiro.

Mi ero quasi dimenticata come sto bene qui. Dopo una settimana intera passata a piangermi addosso nella mia camera, vedere il lago, respirare ed essere accarezzata dalla sua aria, mi fa sentire viva. Non mi lascio scappare nessun particolare di quello che ho intorno come se da un momento all'altro potesse scomparire, o io potessi scomparire, e quando avverto gli occhi pizzicare, li chiudo.

«It's beautiful» dice una voce maschile che mi vibra in tutto il corpo.

Probabilmente sta parlando tra sé e sé, ma mi volto lo stesso e gli sorrido perché è vero, lo stavo pensando anch'io. Anche lui si gira e si blocca appena i nostri sguardi si incrociano.

Sulla terrazza siamo soli e per un secondo di troppo, rimaniamo incastrati l'uno nell'altra.

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In ritardo ma ci sono! 

Questo capitolo sarà diviso in più parti altrimenti risultava troppo lungo per i miei gusti e vi spoilero già che poi c'è anche il pov maschile!!! Mi raccomando lasciate una stellina e tanti commenti!


IL SUONO DI NOI DUEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora