Capitolo 5

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24 luglio: SILVIA (seconda parte)

Non è ancora così buio da impedirmi di distinguere le due iridi scure a un paio di metri che mi fissano. Con le guance calde, riporto il capo a livello del lago.

«Immagino che per la gente del posto, un tramonto del genere sia normale» aggiunge in inglese quando capisce che me ne starò zitta.

Annuisco e mi torturo il labbro inferiore, cercando di distrarmi dalla strana sensazione che mi lascia.

«Anch'io lo credevo ma oggi lo sto guardando in modo diverso» dico alla fine.

Potrebbe essere il mio ultimo bel tramonto e io potrei non saperlo.

Mi fissa ancora. Ma adesso che anch'io osservo lui, lo sta facendo con un'intensità tale da volermi leggere dentro gli occhi, nel cervello. «Stai bene?»

Rido sommessamente per sdrammatizzare. «Non proprio. Sei qua in vacanza?» cambio discorso.

«Sì e no, diciamo che mi serviva una pausa dalla mia vita.»

«Ti capisco» mormoro a me stessa.

«Vieni spesso?» accenna al lago.

«Abbastanza, è un posto tranquillo e vicino a casa. Mi piace perché posso liberare i miei pensieri.»

Aggrotta le sopracciglia, forse aspetta che mi spieghi. Dopo quello che ho detto prima penserà già che sono svitata, quindi mi stringo nelle spalle e continuo.

«Da piccola, mentre mia mamma lavorava al bar, sgattaiolavo qui e sussurravo i miei sogni al lago. Pensavo che fosse uno specchio delle brame naturale e che in qualche modo potesse mostrarmi un futuro in cui quei sogni si erano avverati. Crescendo ho imparato che avevo una bella immaginazione e per non privarmi di quel rito che per me rimaneva importante, ho cambiato lo scopo per cui lo facevo. Invece dei desideri sussurro i miei problemi e le mie paure sperando che liberarli al vento, mi aiuti a districarli e superarli anche nella mia mente.»

Mi studia serio per un attimo lunghissimo e quando percepisco i brividi punteggiarmi la pelle scoperta delle braccia e della pancia, cerco di salvarmi dall'imbarazzo.

«Lo so, è stupido ma ha sempre funzionato. Funzionava» mi correggo.

Credo che ne abbia abbastanza delle mie storielle da bambina quando si alza in piedi, si pulisce i pantaloni, pronto per andarsene, ma invece che allontanarsi viene verso di me. Si sistema di nuovo seduto e non posso fare a meno di notare alcuni dettagli che senza occhiali vedevo sfuocati. Le mani sono curate e impreziosite da anelli, porta un orologio che ha l'aria di essere costoso e mentre appoggia la mano come sostegno, i muscoli del braccio si tendono e scorgo alcuni tatuaggi che sbucano dalla maglietta larga. Nella discesa un ricciolo castano è caduto solitario in mezzo alla fronte, lo scosta all'indietro passandosi una mano fra i capelli e gli angoli della sua bocca si curvano in su.

«Perché funzionava, ora non più?»

Il tuo sorriso funziona.

«È complicato.»

Precipitiamo in un silenzio assordante fino a che lui bisbiglia, «vorrei essere solo Raul.»

Mi volto di scatto. Sento il cuore in gola, lo sento che martella forte tra le costole.

«Che c'è? Hai detto tu che sussurrare al lago ti aiutava, volevo tentare.»

«Quindi? Ti è servito?»

Sono ancora sorpresa. Con un semplice gesto, ha allontanato il disagio che questa ultima settimana ho provato anche solo interagendo con mia madre. Lo vedo che è più attenta del solito a cosa mangio e a quello che faccio in certi momenti, mi guarda come se non desiderasse altro che poter fare a cambio. E della poca gente che incontro ultimamente, nessuno sa cosa succede dentro di me, ma mi sento ugualmente osservata, esposta. Mi sento più sola che mai e più ci rifletto, più mi rendo conto che tutto ciò sarà all'ordine del giorno.

IL SUONO DI NOI DUEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora