Capitolo 2

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17 luglio: SILVIA

«Mi dispiace...»

Un brivido gelido mi percorre la spina dorsale.

Sarà perché mi trovo in una stanza fredda, almeno in confronto all'afa che si respira all'esterno, le pareti bianche asettiche e qualche quadro a nascondere l'intonaco scrostato mi guardano dall'alto.

Fisso la donna seduta alla scrivania davanti a me. Le guance scavate messe in risalto da occhiali colorati troppo grandi, gli occhi grigi e spenti, le labbra chiuse in una sottile linea che non si incurva mai del tutto, le lasciano sul volto un'espressione impassibile. Le mani ossute e gracili battono con foga sul computer alla ricerca di quello che può diventare il mio peggior incubo.

«Silvia, vado dritta al punto.»

Quella donna è la mia dottoressa. Il primario di oncologia. Già, proprio quella brutta cosa lì.

Una mattina, sotto la doccia, mi sono accorta di uno strano rigonfiamento sotto al seno destro. In quel momento, non ci ho dato molto peso, ero di fretta e mi sono rivestita con la promessa di pensarci poi. Vedendo che persisteva, il medico di famiglia mi ha visitato qualche giorno dopo. Secondo lui, molto probabilmente non era nulla di grave tuttavia mi ha consigliato di fare dei controlli. Nelle 12 ore trascorse in ospedale, mi hanno sottoposto a tanti di quei test che non li ricordo nemmeno tutti. I dottori non si esprimevano perché era prematuro parlare senza la biopsia sottomano. Così, un altro mese e mezzo è passato nel silenzio più totale, aspettando l'appuntamento per il prelievo tissutale. Durante questo periodo, dormivo e mangiavo poco, ero stressata e combattevo con tante emozioni diverse. L'agognato momento della biopsia è arrivato l'altro ieri.

E oggi è il giorno della verità.

«I risultati della biopsia mostrano un tumore.»

No!

NO!

Non può essere vero.

Okay Silvia, respira, i tumori sono anche benigni. Non è detto che uscirai da qui con una sentenza di morte sulla testa.

«È un carcinoma duttale invasivo, al terzo stadio. Il tipo più comune di tumore al seno.»

Okay Silvia, ora puoi piangere.

Le lacrime mi annebbiano la vista della dottoressa, la bocca s'impasta e faccio fatica a deglutire, lei sta continuando a spiegarmi che inizieremo la chemio, che verrò seguita e curata, ma sono sopraffatta e non capisco nulla. Tumore al terzo stadio è l'unica cosa che rimbomba e si ripete in loop nel mio cervello. Mi manca l'aria, la stanza improvvisamente sembra diventare piccola e vedo le pareti sempre più vicine, fino quasi a schiacciarmi. Non ho mai avuto un attacco di panico e pensare che stia succedendo proprio ora mi fa agitare ancora di più.

«Silvia» mi accarezza con sorpresa il braccio dall'altro lato del tavolo, «calmati, ho già avuto alcuni pazienti con questa diagnosi. Andrà tutto bene.»

Mi porge una bottiglietta d'acqua e bevo avidamente come se l'acqua potesse portarsi via tutto, la nostra conversazione, il tumore, me. Il vortice di pensieri inizia lentamente a schiarirsi e cerco di farmi forza per ragionare sulle conseguenze.

«E adesso?»

«La chemioterapia» riassume la dottoressa vedendomi ancora smarrita e scossa. «Sei forte Silvia, non lasciarti intimorire da un preconcetto. Ce la farai a guarire.»

Detto da una persona che conosco da poco e che mi sembra il più delle volte scorbutica, non è un incoraggiamento in cui ripongo molta fiducia. Però, mi calmo lo stesso, nonostante senta il cuore palpitarmi nel petto come se fosse impazzito. In fondo, i medici lavorano per garantire il nostro bene, a quello devo aggrapparmi. Se voglio uscirne, devo avere fede nella medicina.

«Ti chiamo per farti sapere la data della prima seduta, indicativamente fra una decina di giorni.»

«Grazie» riesco a borbottare.

Esco dall'ufficio e mi trascino per il corridoio vuoto. Le Converse nere e consumate cigolano sul pavimento immacolato del reparto. Scendo di corsa le scale dal quinto piano e anche se i polmoni bruciano per lo sforzo, non mi fermo fino a che non raggiungo il parcheggio. Mi chiudo in macchina. È una sauna, inizio a sudare ma non apro il finestrino. Con la mandibola serrata tanto da farmi male, le mani a strapparmi i capelli prima del tempo, i gomiti appoggiati al volante, libero un ringhio di rabbia.

Perché è successo a me? Perché io?

Non credevo di meritarmelo.

È così surreale.

Non ho ancora realizzato che questa sarà la mia vita d'ora in poi. Che sarò per tutti la malattia, la ragazza di ventitré anni con un tumore al seno al terzo stadio.

Non ho mai pensato che potesse capitare a me. L'ho visto come una possibilità remota, ho letto testimonianze, conosco amici e parenti che l'hanno vissuto, ma è diverso. Quando ti colpisce in prima persona è tutta un'altra storia.

Ho paura.

Chi non sarebbe spaventato? Mi hanno diagnosticato qualcosa dentro di me che potrebbe potenzialmente uccidermi da un momento all'altro. Una bomba.

Voglio fare così tante cose in questo mondo. Ho ancora tanto da offrire.

Non capisco. Cosa ho fatto di male? Non sono una cattiva persona. Apprezzo la vita -a modo mio, è vero, ma comunque la apprezzo-, non ho mai rubato, non mi drogo e non bevo o fumo, mangio sano, faccio sport, sono una ragazza normale e ugualmente ho un tumore.

Perché? Cosa avrei potuto fare per prevenirlo?

Accendo la radio a palla, non ce la faccio ad ascoltare i miei pensieri.

Voglio solo andare a casa. 

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Oggi sono stata brava e ho fatto doppio aggiornamento! Non dimenticate di votare anche questo capitolo, ci tengo davvero tanto a far conoscere questa storia! 

IL SUONO DI NOI DUEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora