Ricominciamo

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Seduta in fondo all'autobus ammiro il panorama: una natura secca e arida, un caldo afoso di luglio che con quell'autobus semiscassato, mi traghettava alla mia nuova vita.

Mi madre seduta un posto davanti a me dormicchiava stanca com'era di un viaggio estenuante, che stava durando una eternità.

Io me ne stavo li con le mie cuffiette ad ammirare quel paesaggio, sognando una nuova vita, nuovi amici, nuovi luoghi, nuova scuola, nuovo tutto.

Un lunghissimo rettilineo finale ci immise nella città che sarebbe stata la mia, nostra nuova casa.

Arrivammo alla stazione ferroviaria, una piccola stazione a dir la verità, scendemmo e abbracciati da un caldo umido, recuperammo i nostri bagagli; alcuni in verità, gli altri, sarebbero arrivati nei prossimi giorni con la posta express direttamente a casa.

Mia madre rilasciava sorrisi che avevano un misto di ingoraggiamento e di affetto, ma nascondevano, nemmeno così prontamente le sue speranze a ricominciare da zero.

Ci caricammo come muli con quelle valigie e borsoni che ormai ci trascinavamo da 12 ore e ci incamminammo.

Mia madre colse la mia espressione interrogativa sul perchè nessuno ci fosse venuto a prendere, rispondendo che eravamo quasi arrivati erano solo pochi passi.

Attraversammo i binari e ci dirigemmo verso la periferia, poi uno stradale, dove auto di tutti i tipi sfrecciavano senza alcun interesse per i pedoni, per arrivare finalmente, una volta attraversata quella strada, ad una cancellata rossa, avvolta da grandi pini.

Abbandonati i bagagli mia madre suonò il campanello, poi non ricevendo risposta dopo la terza volta, inforcò il telefonino e aspettò che dall'altra parte rispondessero.

- Hai ragione- disse una voce all'altro capo -non ce l'ho fatta ma tranquilla, il catenaccio è chiuso per finta ed entrando le chiavi le troverai sotto il solito vaso. Io ti raggiungo appena termino di lavorare-.

Quella fu tutta l'accoglienza del mio unico zio.

Aprimmo il cancello e recuperati i bagagli ci inoltrammo in quella casa.

Un ingresso molto in penombra, pini altissimi creavano una piacevole ombra e una frescura che rinsaviva il corpo.

Io guardavo quella tenuta, nella quale ero stata da piccola e rimossa dai miei ricordi.

Alberi di aranci e limoni, fico d'india, un campo da tennis in decadimento abbandonato all'avanzamento indiscriminato dell'edera; uno slargo sulla destra, la casa sulla sinistra di fronte al campo.

Salimmo le scale e finalmente arrivammo all'ingresso.

Mia madre andò dritta al vaso, lo alzò e tirò fuori le chiavi.

Quando aprimmo la porta di casa un vento gelido ci trafisse la schiena sudata e, un odore di chiuso invase le nostre narici.

Lasciammo tutto all'ingresso e iniziammo a ispezionare la casa, con il principale interesse per la cucina e il frigo: mio zio aveva avuto almeno la bella idea di accenderlo e di lasciare qualche bottiglia d'acqua, mai così gradita dopo le ultime 24 ore.

Mia madre scappò in bagno, io invece, col bicchiere in mano guardavo fuori: certo la casa era malandata, ma non era male. ci sarebbe voluto un bel po' di lavoro, ma era un gioiellino.

Abbandonato il bicchiere iniziai a girovagare per casa: un salotto, due stanze da letto di cui una con bagno in camera, un'altra stanza, forse la sala da pranzo principale, un altro bagno e la scala  a chiocciola che portava su.

Man mano che passavo di stanza in stanza, aprivo le persiane, la mia mente era orientata a costruirmi una nuova vita e quella sarebbe stata la mia reggia.

Arrivai al primo piano, dove trovai altre due camere da letto enormi e uno sgabuzzino come sotto tetto... una delle due stanze mi attrasse, sembrava mi parlasse, mi chiamasse.

Entrai. mi diressi imediatamente alla finestra, spalancai le ante facendo entrare la calura estiva siciliana, e mi voltai ad ammirarla.

Una cassettiera alla destra dell'ingresso, un lettone enorme in ottone, una piccola scrivania proprio sotto la seconda finestra, una poltrona rivolta davanti ad uno spechio enorme, con cornice dorata poggiato a terra e che arrivava fino al soffitto.

Rimasi incantata da quella stanza, credo avessi appena deciso che quella sarebbe stata la mia.

- Era di tua nonna- disse mia madre facendo capolino dalla porta.

-Quando tuo nonno cadde in guerra, lei non volle più usare la loro stanza matrimoniale, trasformò questa stanza che era stato l'ufficio privato del nonno nella sua camera.-

Rimasi a guardare quella stanza con ancora più entusiamo. Il tempo sembrava essersi fermato, tutto li profumava di "nonna", la sua vestaglia ancora per terra davanti lo specchio.

Ero immersa in quel magico mondo quando sentimmo una voce provenire da giù.

Arrivammo in cucina e trovammo un signorotto, quasi di altri tempi, perfettamente vestito con giacca e cravatta nonostate l'arsura estiva. 

-Spero abbiate trovato tutto e fatto buon viaggio. Sono passato solo per le firme. Non voglio stare un attimo di più in questa casa. Firma per favore e andrò via.-

Rimasi turbata di quell'atteggiamento, sapevo che tra mia madre e suo fratello non correva buon sangue, sapevo che nella storia della loro famiglia c'erano dei coni d'ombra, e sapevo che la scomparsa di mia nonna aveva un alone di mistero.

So che la polizia dopo tanto cercare, chiuse le indagini come ufficialmente scomparsa, ma mia madre era convinta che ci fosse dell'altro. Certo che le condizioni mentali di mia nonna non avevano aiutato e più che altro non avevano dato grossi stimoli alla polizia per continuare a cercare.

Assistetti a questa triste scena familiare di due fratelli che firmano la definitiva divisione della famiglia, attraverso un atto che faceva di mia madre l'unica proprietaria di quella villa.

Quando lo zio se ne fu andato, mia madre emise un lungo sospiro, poi voltandosi verso di me

- Voltiamo pagina. Ricominciamo-


I segreti dietro lo specchioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora