Capitolo 8

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Sono passati tre giorni dalle operazioni, le bambine sono tornate a casa con Sole e io ho rimbalzato da una stanza all'altra come una pallina da ping pong fino a stamattina che Raquel è stata dimessa dall'ospedale ed è tornata a casa. Dopo averla riaccompagnata l'ho aiutata a sdraiarsi sul divano per riposare, abbiamo scelto un film da vedere ma, pochi minuti dopo l'inizio, il mio telefono ha cominciato a squillare. Dall'altro capo della linea c'era il medico di mia sorella che, in tono perentorio, mi ha intimato di raggiungerli immediatamente. Così mi sono catapultata in auto e ho guidato a 200 chilometri orari. In pochi minuti ero all'ospedale. Ora sono qui, percorro i corridoi correndo, i polmoni mi bruciano. Quando vedo la porta della stanza in cui è stata spostata ieri Zulema, rallento. Di fronte a me c'è proprio il dottore che si è preoccupato di contattarmi.
"Che cosa sta succedendo? Come sta?" chiedo annaspando in cerca di aria.
"Signora Sierra si calmi, è tutto a posto, l'ho fatta venire qui per una cosa bella. Vede ieri, senza dirle nulla, abbiamo abbassato la sedazione di sua sorella per vedere come avrebbe reagito. Con nostra grande sorpresa le cose sono andate molto meglio di quanto sperassimo e..." inizia a parlare con un sorriso da ebete dipinto sul volto.
"Avete ridotto la sedazione senza dirmi nulla?!" ringhio come un cane rabbioso.
"Signora lei ci ha autorizzati a procedere con il miglior trattamento medico possibile per sua sorella e noi abbiamo valutato il piano terapeutico più indicato a nostro parere. E avevamo ragione, guardi lei stessa!" esclama lui indicando il vetro che affaccia sulla camera di Zulema. Sposto lo sguardo sulla figura di mia sorella e rimango pietrificata dal suo sguardo intento ad osservare la parete di fronte a sé.
"È sveglia" sussurro.
"Sì, si è svegliata un paio d'ore dopo la dimissione di sua moglie, abbiamo atteso di farle i primi esami per accertare che la situazione fosse stabile, poi abbiamo subito chiamato lei signora" parla il dottore ma io smetto di ascoltarlo.
"È sveglia" sussurro nuovamente e sento il peso sul mio cuore affievolirsi: è viva.
"Può entrare se vuole" mi incita l'uomo, io porto su di lui il mio sguardo con un movimento fulmineo.
"È sicuro? Posso?" chiedo titubante sperando che mi dica che è il caso di lasciarla riposare. Non so quale possa essere la reazione di Zulema nel vedermi, ma se è rimasta la stessa di tanti anni fa, beh sarà arrabbiata.
"Deve" mi sorride lui pensando di farmi un meraviglioso regalo. E lo è, non voglio essere fraintesa, questo è quello che ho sperato accadesse in ogni secondo di questi ultimi giorni, però...
"Vale" sussurro poco convinta, poi con molto coraggio spingo verso il basso la maniglia della porta di questa stanza che, improvvisamente, mi sembra immensa e poi subito dopo troppo piccola. Al rumore della porta che si apre Zulema si volta verso di me, i nostri occhi si incontrano per la prima volta dopo trentatré anni. E nonostante il tempo, nonostante la distanza, nei suoi occhi vedo la stessa bambina con cui ho condiviso gli anni migliori della mia vita.
"Zulema" il suono che esce dalla mia bocca è talmente impercettibile che per un attimo credo non mi abbia nemmeno sentita. La vedo squadrarmi per poi spostare lo sguardo nuovamente sulla parete di fronte a lei lasciandomi qui, in piedi, gelida. La capisco, non posso che farlo. E in fondo mi aspettavo che il nostro non sarebbe stato un magico e meraviglioso incontro fatto di baci e sorrisi, lo sapevo.
"Posso?" le chiedo indicando la sedia accanto al suo letto. Lei mi ignora così mi avvicino lentamente e prendo posto.
"Mi guarderai a un certo punto?" le domando. Lei non mi degna di uno sguardo, rimane impassibile a fissare il muro. Posso vedere chiaramente i muscoli tesi del suo collo mentre serra i denti, segno che è molto più arrabbiata di quanto io potessi immaginare.
"ZULEMA!" urlo in preda al nervoso, lei si volta e pianta i suoi occhi infuocati nei miei. Se uno sguardo potesse uccidere, io sarei morta in questo preciso istante.
"Posso parlare?" le chiedo, il mio tono è incrinato, segno che sto per piangere. Vorrei abbracciarla, ma non posso. Sono in uno stato pietoso, mi manca l'aria e so che lei lo vede, ma questo non scalfisce minimamente il suo pensiero.
"Io non lo sapevo" le dico semplicemente. Sappiamo entrambe a cosa mi riferisco. Io non lo sapevo davvero.
"Avevi promesso. Ero solo una bambina. Tu l'avevi promesso. E io ci ho creduto." finalmente parla, la sua voce mi rimbomba addosso, parla uno spagnolo perfetto, se io non sapessi che è araba, non lo capirei assolutamente dal suo modo di parlare. Mentre pronuncia quelle parole assottiglia gli occhi, lo faceva anche da bambina, era il suo modo per non piangere. È ferita.
"Ti giuro che ci ho provato, sono scappata dall'aeroporto, sono venuta a cercarti, ma non c'eri e loro mi hanno raggiunta e trascinata qui. Ho insistito perché venissero a prenderti, mi hanno presa in giro, mi hanno detto che eri morta. Ti ho pianta per anni, sono venuta sulla tua tomba ogni giorno della mia vita fino a che non ci siamo trasferiti. Sei mia sorella Zulema, un pezzo di me è morto quando mi hanno portata via. E sono morta ancora il giorno in cui, per la prima volta, ho creduto che fossi morta tu. Quando gli agenti sono venuti alla mia porta ho respirato dopo anni, nonostante tu stessi male io ho respirato come se fossi stata in apnea finito ad allora. Immaginare un mondo in cui tu non esistevi più è stato dilaniante e quel giorno sono tornata a vivere. Non mi sono allontanata da te nemmeno per un secondo se non mentre operavano Raquel e..." provo a spiegare, lei non mi guarda ma so che sta ascoltando e ne ho la conferma quando mi interrompe.
"Raquel?" domanda lei confusa.
"L'ispettrice Raquel Murillo" dico io.
"Mhm" mugugna lei.
"Zulema insomma lo capisci che io non sapevo nulla?" il mio tono suona esasperato, lo sono, non posso pensare a quanto l'ho fatta soffrire inconsapevolmente, vorrei però che anche lei capisse che per me non è stato bello e nemmeno più semplice, no.
"Io ti aspettavo, tu saresti dovuta venire da me" dice duramente e so che ha terribilmente ragione.
"Hai ragione Zule, non potrò mai rimediare a quello che non ho fatto, ma ti giuro che farò tutto ciò che posso per aggiustare quello che possiamo ancora avere" le dico abbassando lo sguardo.
"È tardi Amira" mi dice. Il mio nome pronunciato da lei mi tramortisce, trattengo un grosso respiro e smetto di riempirmi d'aria i polmoni, non può essere troppo tardi.
"Sono tua sorella, sono sempre io" una lacrima scivola sulla mia guancia e per un secondo riesco quasi a vedere il suo sguardo ammorbidirsi, poi però la porta che si apre le fa spostare gli occhi catturando la sua attenzione. La vedo sollevare un sopracciglio, anche questa è una cosa che faceva sempre da bambina. Mi volto per capire che cosa di così strano la stia turbando, quando vedo due figure minute entrare nella stanza, seguite da una traballante.
"Zia!" esclama Paula correndo verso il letto di Zulema. La capacità dei bambini di non fare domande e saper semplicemente amare è meravigliosa. Mia sorella mi guarda con occhi pieni di dubbio.
"Chi sei?" chiede alla bambina.
"Sono Paula e tu sei mia zia Zulema, la sorella di ma, però te l'ho già detto questo quando dormivi" le dice la piccola, Zulema si volta a guardarmi come se avesse visto un fantasma ignorando la seconda parte dell'affermazione della bambina.
"Hai una figlia?" la sua voce è tremante.
"Ne ho due, Paula e Victoria" le rispondo, lei sposta lo sguardo sulle figure alle mie spalle ed è quando i suoi occhi incrociano Victoria che la sua bocca si schiude poco prima di essere coperta dalla sua mano. So a cosa sta pensando, mia figlia, cioè sua nipote, è la sua esatta fotocopia.
"L'ha fatta uguale a te" le dice Raquel per provare a stemperare il clima.
"Tu saresti?" chiede Zulema continuando a fissare Vì.
"Mia moglie, la madre di Paula e Victoria, Raquel" le spiego. Zulema non parla.
"Hai gli occhi come ma, ci avevo scommesso" sorride Paula.
"Ho bisogno di rimanere sola" sussurra Zulema.
"No, hai bisogno di capire cosa sta succedendo e siamo qui apposta, tutte e quattro. Zulema, che tu lo voglia o no, sei parte della famiglia. Non hai scelta, devi almeno provare ad ascoltarci" il tono di Raquel non ammette repliche, ma Zulema non ne è intimidita.
"Io non devo assolutamente nulla" ringhia lei assottigliando gli occhi ancora una volta, si sta innervosendo e anche parecchio.
"Oh sì invece" sibila Raquel.
"Io non devo assolutamente nulla" ripete ancora mia sorella.
"Sei viva grazie a me, quindi ora chiudi la bocca e ascolti" tuona Raquel.
"Avevo capito che fossi un ispettore, non un medico" ghigna Zulema.
"Uno dei miei reni è dentro di te ed è anche l'unico che hai, così come ne è rimasto soltanto uno a me. Io ho pensato che ne valessi la pena quando ho scelto di farmi tagliuzzare per una completa estranea perchè, anche se non sapevo nulla della tua esistenza fino a quando quegli agenti non hanno citofonato alla nostra porta, ho visto il dolore negli occhi di mia moglie e poi, all'improvviso, ho letto la speranza di riavere la persona più importante della sua vita oltre a noi. Non sei nella posizione di negoziare Zulema, mi sono informata, so che non sei una che si abbassa, ma stavolta non hai scelta, io ti ho dato una seconda chance, ora tu ne devi una a me" Raquel vomita queste parole come se fosse un fiume in piena.
"Che cosa significa questo?" domanda interdetta Zulema.
"Ascolterai? - Raquel si china alla sua altezza mentre le parla e Zulema annuisce esitante - Molto bene, ora parliamo io e te, se hai domande sono felice di risponderti" dice Raquel sedendosi su una sedia.
"Te la sei scelta con le palle" ammicca Zulema e io, che ho ancora la bocca aperta e gli occhi sgranati per la scena a cui ho appena assistito, annuisco.
"Paula, porta tua sorella a prendere un gelato" sentenzia Raquel senza nemmeno guardare le bambine.
"Ma mamm..." prova a controbattere la grande.
"Paula ora." il tono di Raquel fa sussultare la bambina che, in silenzio, prende per mano la sorella.
"Dai Vì, torniamo dopo" le dice trascinandola fuori dalla porta e richiudendosela alle spalle.
"Dove eravamo rimaste?" domanda Raquel e io scoppio a ridere. Solo dopo mi rendo conto che l'ha fatto anche Zulema. Questo attimo è un tuffo nel passato, anche da piccole ridevamo insieme per qualcosa senza bisogno di parlare, nostra madre odiava questa sintonia, si sentiva presa in giro da noi. Sorrido. Siamo sempre noi, devo solo fare un po' di fatica.
"Beh?" chiede Raquel.
"Perché dici che io ho un tuo rene?" le chiede Zulema. Raquel sorride.
"Avevi bisogno di un trapianto, tua sorella ha fatto il test ma è risultata incompatibile così ci ho provato anche io e, con mia grande sorpresa, ero perfettamente compatibile" le risponde Raquel.
"E lei te lo ha lasciato fare?" corruccia il viso Zulema.
"Ha avuto paura di perderti. Aveva paura anche di mettere a rischio me, ma i suoi occhi quando ha letto i referti degli esami non me li dimenticherò mai. Non si sono illuminati così tanto nemmeno quando è nata Vì" le sorride mia moglie.
"Da quanto state insieme?" continua Zulema.
"Poco più di tre anni, ma siamo sposate solo da qualche settimana. Anticipo anche la tua prossima domanda. Paula è più grande, arriva dal mio primo matrimonio con il mio ex marito, lui ora sta con mia sorella ed era molto violento sia con me che con Paula. Vì arriva dal matrimonio precedente di Alicia, suo marito German è morto per un cancro pochi mesi prima che nascesse la piccola. Paula è stata regolarmente adottata da tua sorella, Vì invece l'abbiamo riconosciuta alla nascita entrambe perchè io c'ero, non stavamo insieme ma quel giorno abbiamo deciso di provarci" le spiega Raquel.
"Alicia?" ora Zulema sembra essere più confusa che mai.
"I suoi genitori le hanno cambiato nome quando è venuta qui, si chiama Alicia ora" solleva le spalle.
"Perché mai?".
"Non volevano che si sapesse che era adottata ed araba, per questo non sono venuti a prendere te".
"Che bastardi".
"Sì, ma lei non ha colpe, non lo sapeva".
"Come fai a tollerare che ti abbia nascosto tutto questo?".
"Non lo tollero, lo comprendo. All'inizio, per un attimo, mi sono arrabbiata. Ma quando ho visto come ha sofferto mentre le dicevano che eri viva, beh le cose sono cambiate. L'ho vista sperare che fosse tutto un errore e che tu fossi morta, non riusciva ad accettare di aver vissuto con te lontana. Questo ha reso tutto naturale, semplicemente l'ho capita" una lacrima mi percorre la guancia, parlano come se io non ci fossi e nelle parole di Raquel c'è tanta verità.
"Mi avrebbe preferita morta?" ringhia Zulema.
"No, avrebbe preferito non sapere di aver creduto che sua sorella fosse morta quando invece era viva e aveva bisogno di lei" la zittisce Raquel.
"Sarà..." risponde la mora.
"Sai Zulema, non ti conosco, ma direi che sei una persona estremamente orgogliosa e questo non ti porterà da nessuna parte. Tutti meritano una seconda chance. Io. Tu. E anche Alicia. Ora, con permesso, vado a recuperare le bambine" così dicendo si alza e se ne va lasciandosi alle spalle un silenzio assordante che piomba fra noi, due metà della stessa mela separate per troppo tempo.

* spazio autrice *

Lo so, potrei essere più costante, ma mi piace scrivere quando ne sento il desiderio. Ecco qui, questo è un capitolo di passaggio per motivare ciò che piano piano accadrà.
Vi chiedo, se vi va, una stellina.

- Elle 🦂

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