capitolo 3

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Non sono una persona che origlia le conversazioni altrui, lo trovo profondamente scorretto.

Se qualcuno lo facesse con me, penso che gliene direi quattro.
O forse no, mi limiterei a starmene in silenzio con il broncio caratteristico dei bambini.

In questo caso, però, non ho potuto farne a meno.

Il ragazzo si trova solo a un tavolino di distanza e la sua voce giunge a me chiara e limpida, forse anche perché dalla foga non si è reso conto di star quasi urlando.

E poi, a mia discolpa, ci ho provato sul serio a non ascoltare, ma era come se le sue parole percorressero un filo diretto che giungeva proprio nella mia mente.

La rabbia che trapelava è scalfita nella mia testa ed è esattamente quella che io cerco costantemente di reprimere.
Qualcosa nella sua voce mi ha colpito.
Forse il fatto che per la prima volta in vent'anni di vita sono riuscita a scorgere un'emozione vera.

La furia che gli divampava dentro non è rimasta tale, ma è straripata in ogni singola lettera.

Oltretutto, ha detto di voler scappare, e lì, la mia curiosità si è accesa.
Sono mesi che tento di escogitare un piano che mi porti sulla Terra, o su qualsiasi altro pianeta, se esiste, sana e salva.
O almeno, cerco una via di fuga che non mi faccia rischiare una fine peggiore di quella che farò in qualsiasi caso tra poche ore.

Mi chiedo perché voglia tentare una fuga e, onestamente, mi chiedo anche chi sia.
Non ho ancora avuto il coraggio di voltarmi e di osservare chi sia colui che ha scaturito in me tutta questa curiosità.

Generalmente mi fingo indifferente, sono obbligata a farlo.
Questa volta, però, è diverso.
Percepisco un'emozione dilagante, un qualcosa che mai prima d'ora ho avuto la possibilità di sperimentare sulla mia pelle.

Rimango qualche istante a fissare il vuoto nella speranza di riuscire a placare quello che mi ribolle dentro.
Non sono mai stata quel tipo di persona che agisce d'impulso, anzi.
Ho sempre ponderato fin troppo le mie parole, ho sempre rimuginato fin troppo sul da farsi, prima di muovere anche un solo muscolo.

Questa volta, però, è diverso.
Non riesco a farne a meno.

Mi volto di scatto, e la sedia stride sul pavimento.
Dietro di me, ad appena qualche metro, vi è un ragazzo ben piazzato che, seppur, sia seduto, pare essere un energumeno.
Ha gli occhi chiusi, quasi stia indirizzando tutta la sua concentrazione su qualcosa di specifico.

Come se si sentisse osservato, o forse per il fatto che la mia sedia ha provocato un rumore davvero fastidioso, apre gli occhi di scatto.

I nostri sguardi si incatenano per un lasso di tempo che mi pare infinito e seppur dentro di me senta l'imbarazzo crescere a dismisura per quel contatto visivo così intenso, mi fingo indifferente.

Ha gli occhi scuri, talmente tanto da farti provare la sensazione di capitolare in un profondo burrone.

Per qualche istante il mio corpo rimane paralizzato, solo scosso da una serie di fremiti.

Pervasa da un'intensa scarica di adrenalina, o forse di pazzia, mi alzo di scatto e mi dirigo verso di lui.

I nostri sguardi continuano a rimanere incatenati l'uno all'altro e la mia testa inizia a elaborare un'infinità di pensieri ai quali cerco di non dare ascolto.

Cosa diamine sto facendo?
Regina, torna sui tuoi passi!
Non riesco, però, a dare ascolto alla vocina della mia coscienza, quella che potrebbe evitarmi l'ennesima delusione.

Cosa diavolo penso di ottenere, avvicinandomi?
Credo davvero che questo sconosciuto potrebbe aiutarmi nella fuga?
Perché mai dovrebbe farlo?

In men che non si dica, mi ritrovo accanto a lui.

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