Capitolo 2

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Svegliarsi la mattina è sempre stato un trauma per me, ma oggi lo è ancora di più.
Apro gli occhi e so che questo sarà il giorno della mia condanna, il giorno in cui i miei sogni svaniranno insieme alla mia carne.
Una calda lacrima solitaria solca lentamente una guancia e l'asciugo frettolosamente con la manica del pigiama.
È difficile immaginare cosa succederà quando scoccherà la mezzanotte, e, a essere onesta, non ci avevo mai pensato troppo fino ad adesso.
Ho preferito lasciare che il destino facesse il suo corso, o forse, ho continuato a sperare fino all'ultimo istante che questo imboccasse quel vicolo nascosto del lungo tragitto della vita.
Ho continuato a sperare per tutto questo tempo che il destino avesse in serbo per me un finale migliore.
Magari che l'esatto istante prima di sentire l'incudine incombere sulla mia testa, mi sarei sentita folgorata dallo sguardo di quel qualcuno in grado di far resuscitare il marchio che sembra ormai essere definitamente scomparso.
O magari, che la mia intelligenza mi avrebbe permesso, prima o poi, di escogitare un piano arguto per portarmi via di qui.
Ogni volta che provo a ragionarci su, però, la mia testa viene invasa solo dalle conseguenze inevitabili che farebbero naufragare qualsiasi tentativo.

Kaos non è altro che una grande, grandissima e infallibile macchina mortale.
Qualsiasi atteggiamento equivoco non fa altro che portare alla stessa conclusione.

Con la mente ancorata alla malsana idea dell'ennesimo piano, consapevole di quanto sia anch'esso fallimentare, mi stiracchio leggermente e con la lentezza di un bradipo scosto le coperte per scendere dal letto.
Mi stropiccio gli occhi e guardandomi un po' attorno la mia attenzione viene catturata da una delle tante fotografie appese al muro.
Velocemente mi ci avvicino e la sfioro delicatamente con il polpastrello, quasi potessi attraversare la superficie di carta e catapultarmi nell'esatto istante in cui è stata scattata.

Avrò avuto sì e no quattordici anni in quella foto.
Sorridevo talmente tanto da avere gli occhi che brillavano.

Ero abbracciata a mio fratello e lo guardavo con la coda dell'occhio.

Mio fratello ha solo tre anni in più di me, ma tra di noi scorre un abisso.
L'unica cosa che realmente ci lega è il sangue che pulsa nelle nostre vene.

A malapena ci salutiamo, adesso, ma quando eravamo più piccoli, a dire la verità, il nostro rapporto era ben diverso.
Lui era, per me, un punto di riferimento e il mio più grande motivo d'orgoglio.

Mi sentivo così fortunata ad averlo nella mia vita.

Trascorrevamo ogni attimo insieme, e io, al suo fianco, mi sentivo protetta.
Quando la notte il buio incombeva su di noi e il terrore mi paralizzava, lui scostava le coperte e mi faceva spazio nel suo letto per potermi abbracciare o raccontarmi una favola fino a che il mio respiro si faceva pesante e le palpebre non minacciavano di chiudersi nel giro di qualche minuto.

Non so dire cosa sia successo con il passare degli anni. L'unica cosa che so è che il nostro rapporto si è gelato in un batter d'occhio come l'acqua di un laghetto in pieno inverno.
Mi chiedo se tutto ciò che faceva per me non fosse altro che un obbligo imposto dai nostri genitori, se quella protezione e quella dolcezza che mi riservava non fossero dovute dal fatto che, fin che si è bambini, una parvenza di sensibilità è ancora in grado di smuovere l'imperturbabilità del cuore degli abitanti di Kaos che, crescendo, invece, raggela il poco calore che nel tempo lo aveva abitato.

L'unica cosa che vorrei in questo momento sarebbe tornare quella ragazzina spensierata che con i capelli mossi dalla brezza estiva sorrideva alla vita.

Ora, non sono io a non sorriderle, ma è lei che non sorride a me.

Mi distacco dalla parete con un gesto fulmineo, quasi abbia preso la scossa.

Scaccio il malumore con un gesto della mano.
Avrò tutta l'eternità per crogiolarmi nella tristezza.

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