Capitolo 4

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<Ci vediamo un film?> propone <ho comprato i poppi-corni> continua. Poppi-corni è come chiamavo io i pop-corn da piccola.
<il nuovo After?>
<ci sto>

<Hai fame? Non so cosa c'è per cena sinceramente> mi chiede mio fratello a metà film.
<nono tranquillo, ho già fatto abbastanza schifo oggi>
<sicura? > annuisco.

Si alza e prepara della carne per lui e per la mamma che dovrebbe tornare a momenti.
<Dio mio quanto è bono> esclamo guardando il DIO che avevo davanti. Hero Fiennes Tiffin o in questo caso Hardin Scott. Mi piacerebbe essere Tessa.
<vero> mi da ragione mio fratello ricevendo un gesto della mia mano con per dire "bravo".

Cominciava a farmi male la pancia per tutto quello che ho mangiato oggi. Credo che mi farò un tè. Anzi me lo faccio ora.

Mi alzo dal divano e riscaldo l'acqua.
<sei proprio messa male per arrivare a farti il tè> dice con una faccia disgustata facendomi ridere.

<Sono a casa> urla mamma ed entrando dalla porta.
<ei com'è andata?> le chiedo.
<bene ma sono stanchissima>
<allora siediti perché la cena è prontaa> dice emozionato Marcus. Spero solo che non la avveleni...
<come mai tu solo un tè? > mi chiede con sguardo di rimprovero
<ho mangiato tanto oggi. Il sushi, il mc e poi un cornetto>
<mh> risponde continuando a guardarmi con sguardo investigatorio.

Ci sediamo tutti e tre a tavola.
<hanno dato la stanza di papà> confesso per poi portare alle labbra il tè.
Loro mi guardano ma non dicono niente. Li guardo curiosi.
<O mio dio! Voi lo sapevate!! >
<Bea te lo avrei detto ma-> la stoppo alzando una mano. Gli occhi iniziano a bruciare e sento le lacrime bagnarmi il viso. Mi alzo e salgo di sopra velocemente ignorando i richiami di mia madre e mio fratello.

Apro l'armadio e mi vesto velocemente. Scendo sotto ed esco di casa sbattendo la porta.

Avevo bisogno di aria.

Metto in moto e parto per l'ospedale. Mi sarei accontentata di una foto e una candela nella chiesetta dell'ospedale dato che essendo le 23:45 di sera non avevo voglio di andare al cimitero.

Parcheggio l'auto e la spengo. Rimango ferma per un po' con le mani sul volante e guardare il vuoto.

<papà papà più in alto!!> gli urlo.
<tesoro rischi di scivolare, stai andando già troppo in alto> mi risponde lui divertito.
<papà papà voglio andare sullo scivolo! > papà mi fa scendere dall'altalena e tenendomi in braccio facendo finta di farmi volare mi fa sedere sullo scivolo, mi lascia ed striscio su di esso. Appena mi fermo mi metto a ridere e mio padre con me.
<sai sei davvero carina quando ridi. Non smettere mai>mi tocca il nasino e mi prende in braccio.
<ora andiamo perché la mamma ci aspetta per il pranzo> dice facendo una voce grossa e divertente. Io alzo le mani in su e grido <siiiii il pranzo della mammaaaa>

Piango, riesco a fare solo quello. Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a fare niente se non piangere.

In un episodio di pretty Little liars la madre di Emily disse: "Le figlie non parlando con le madri come parlano con i padri" le do ragione. Mio padre era il mio migliore amico, sapeva tutto di me, ogni cosa anche stupida. Gli raccontavo sempre com'era andata a scuola appena tornavo, o com'era andata con gli amici quando uscivo. Se un compito andava male o se litigavo con qualcuno lui era la persona con la quale mi confidavo. Era tutto per me. Mi aiutava a risolvere tutti i problemi che si creavano. E lo stesso era per lui. Per quanto possa essere difficile da credere anche mio padre si sfogava con me, per le giornate andate male al lavoro, per i litigi con mamma o con Marcus,... Un uomo che si sfogava con la sua piccola bambina. Io trovavo conforto in lui, nei suoi abbracci, nel suo sorriso, nella sua risata e nei suoi bellissimi occhi e lui trovava conforto nelle mie parole perché diciamoci la verità, le parole dei bambini sono sempre quelle più belle. I bambini hanno una capacità stupenda nel consolarti. Poi man mano che crescevo riuscivo ad aiutarlo sempre di più anche io con i suoi problemi, sopratutto se si trattava di litigi familiari, e man mano che crescevo il nostro rapporto migliorata sempre di più. Poi però arrivo quel giorno. Il giorno in cui scoprimmo che il cancro non era più curabile. Il giorno in cui gli diedero poche settime di vita. Da lì nessuno dei due si è sfogato più. Abbiamo iniziato a pensare ad altro. Abbiamo cercato di divertirci e fare le più grandi pazzie. Ci siamo divertiti. Tanto. Tanto. Tanto.
Ma è stato proprio dopo tutte quelle pazzie che quando mi ha lasciata per sempre il mio cuore si è spezzato in mille pezzi e nessuno è riuscito o riuscirà mai a ricomporlo pezzo per pezzo.

Mi aveva chiesto di promettergli di non piangere per lui, di essere felice perché lui sarebbe stato sempre con me e che non avrebbe più sofferto. Che sarebbe stato meglio così. Ma io non glielo avevo promesso perché le promesse si mantengono ed io sapevo che non l'avrei mantenuta.

So che ora lui sta bene, che non soffre più. So che lui è qui con me e che mi protegge, ma non è lo stesso di averlo qui con me veramente. Perché io non lo vedo più, non lo sento più. Ho la costante paura di poter dimenticare il suo volto, il suo calore, il suono della sua voce, la sua risata, il potere che avevano i suoi occhi di capirmi con un solo sguardo, la sua capacità nel farmi ridere anche senza senso.
Ho paura che un giorno potrò dimenticare le giornate stupende che passavamo insieme al parco, al bowling, all'acquapark, in macchina sotto il cielo stellato, al mare,... perché ovunque noi andavamo ci divertivamo, perché ogni stanza, luogo, paese, città si illuminava quando ci entrava lui.




FACCIO SCHIFO A SCRIVERE MA VABBÈ

In quella camera d'ospedale Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora