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"La caccia, l'adrenalina del cacciatore, la paura della preda, la fame da soddisfare, il bisogno di scappare".

La caccia ad Artemis era stata concepita per soddisfare un bisogno primario, non sarebbe mai stata un hobby, un divertimento per poter placare la smania di qualcuno.
Per rappresentarla era stata scelta una divinità femminile, ma quando Ares pensò alla sua immagine ricreò qualcosa al di sopra delle aspettative.
Nacque così un Dio dalle forme armoniose ma decise, era un uomo, nessuna dea avrebbe potuto competere con l' equilibrato bilanciamento dei pregi di entrambi i generi.
Anche la terza anomalia era di una bellezza indescrivibile.
Ares si sentiva frustrato, insoddisfatto dei suoi continui fallimenti, sciocco, pensava di essere l'unico che stesse soffrendo per la situazione.
Quelli che lui considerava fallimenti erano quasi allo stremo della loro pazienza, stanchi delle sue visite, delle sue richieste, della sua insistenza.
Ma era inutile parlargli di come si sentivano, lui in realtà non si era mai soffermato ad ascoltare ciò che dicevano.
Lui perseguiva il suo obiettivo, come un cavallo con le brine,non vedeva altro al di fuori di esso, solo quello che aveva davanti a sé, doveva rimodellare ciò che aveva creato.
Quindi come per Poseidone e Cupido si presentò davanti alla porta, suonò e gli aprì un ragazzo grazioso ma con il sorriso spento.
Tenne la porta aperta e quando si voltò fece svolazzare leggermente i suoi capelli biondi, gli arrivavano fino alla schiena e al sole erano meravigliosamente lucenti.
Li teneva raccolti in una mezza coda, raccolti solo per la metà superiore, quella inferiore erano lasciati liberi di ricadere lungo la sua schiena.
In quel momento indossava una camicia bianca, lasciava scoperto leggermente il petto candido allenato, al di sotto portava dei semplici pantaloni neri.
Stavolta con sé Ares aveva portato una faretra con all'interno un paio di frecce, in mano teneva l'arco, lo portava ogni volta che andava a trovare Artemide, il dio della caccia, colui che odiava la caccia.

"Artemide".
Disse Ares entrando in casa seguendo l'opposto.

"Chiamami Jimin, infine non posso essere Artemide visto che non sono come mi volevi, giusto?"
Disse con una nota di acidità mentre si sedeva sulla poltrona del suo soggiorno.

"Jimin, aiutami, collabora con me".
Ares sospirò.

"Dovrei aiutarti a cambiarmi?"
Strinse le labbra per non dire qualcosa di peggio.

"Cerchiamo di cacciare insieme. Anche stavolta ho portato l'arco, stavolta andiamo?"
Chiese speranzoso Ares alzando l'arco per mostrarlo meglio a Jimin.

"Odio la caccia, dovresti saperlo".
Jimin sbuffò, non si era ancora stancato di ricevere una risposta negativa evidentemente.

"Perché?"
Era sempre il solito dialogo ma sperava che prima o poi si sarebbe ricreduto.

"Non toglierò la vita ai quei poveri animali".
Jimin ribadì la sua opinione per l'ennesima volta, lo ripeteva ogni volta che lo vedeva.

"Lo sai come funziona nel nostro mondo".
Fu il turno di Ares quello di sbuffare.

Gli animali una volta uccisi si rincarnavano.
Dopo la loro morte rinascevano fiori e successivamente riprendevano le sembianze dell'animale della vita precedente.
Un ciclo continuo, la morte del genere animale si poteva definire quasi apparente, perché sostanzialmente non morivano mai definitivamente.
Era come se la morte li rigenerasse per la vita futura.

"Anche se è per poco non riesco a farlo".
Disse Jimin stanco di ripetersi costantemente.

"Allora spero tu sia abbastanza forte per vedere il popolo arrancare senza che nessuno li guidi per la caccia".
Controbatté tagliente Ares, ogni volta terminava con quella frase pungente. Voleva far breccia sui sensi di colpa, e ci riusciva, Jimin provava una fitta al cuore ogni volta che la sentiva, ma non riusciva ad andare oltre il suo blocco mentale.

E come sempre lì finiva la visita, con un Ares deluso e un Jimin con gli occhi lucidi per aver ricevuto nuovamente quelle accuse.
Lui doveva accollarsi la responsabilità di un popolo che non aveva mai visto realmente.
Quando ricevevano i viveri era solo grazie ad Ares, lui permetteva ai sudditi grazie ad un piccolo varco sulla barriera la possibilità di spingere le ceste con i diversi alimenti all'interno, il tempo del passaggio e l'apertura si chiudeva subito dopo.
Lui doveva preoccuparsi di loro ma chi si preoccupava realmente di come stava lui? Nessuno, nemmeno quello che avrebbe dovuto considerare suo padre dato che era il loro creatore.

Artemis vminkook Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora