7. The truth

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(Did you hear the rain? - George Ezra)

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Appena mi ha vede in ginocchio l'unica cosa che mi dice è: "ti spiego tutto mente torniamo."
Thor afferra Loki e ci dirigiamo verso il portale per tornare sulla terra.
Non capisco perché Loki abbia bisogno delle manette ma non voglio rompere il silenzio. Probabilmente, in fondo, non voglio saperla la verità. Ho paura che faccia troppo male.
Assolta nei miei pensieri attraverso il portale.
Siamo sul jet che ci sta riportando alla torre ma la sua bocca è sigillata.
Ha passato tutto il viaggio a guardare fuori dal finestrino e a bere, e io non ho il coraggio di chiedergli nulla.
Voglio che sia lui a spiegarmi.
Intanto la furia ceca che mi attanagliava sta svanendo, per fare spazio a qualcosa di molto peggio.
Curiosità e paura fanno uno strano contrasto.
"Vieni con me."
Sobbalzo. Non mi aspettavo che avrebbe detto qualcosa.
Ha un espressione seria e corrucciata, eppure quella arrabbiata dovrei essere io.
Lo seguo silenziosamente nella cabina di pilotaggio che si rivela essere vuota.
Grazie pilota automatico.
Mi accomodo su una delle poltrone e fisso il cielo mentre lui inizia a parlare.
"Quando ero piccolo passavo la maggior parte del mio tempo da solo.
Mio padre era sempre impegnato in cose di lavoro e io tentavo in tutti modi di attirare l'attenzione.
Un giorno si presentò con una donna che dichiarò di essere la mia tata.
In seguito divenne anche la sua assistente di laboratorio.
La donna ogni tanto tornava a casa a trovare i suoi parenti.
Un giorno ci rivelò di essere incinta di una bambina, così mio padre la fece tornare a casa per farla stare tranquilla.
Continuò a pagarla e nel frattempo si dedicò a costruire JARVIS, il suo sistema di intelligenza artificiale.
Quando telefonarono e ci dissero che una bomba era esplosa a pochi metri da casa sua e che lei era morta, mio padre non voleva crederci.
Poi un barlume di speranza, la bambina era sopravvissuta ma si trovava in gravi condizioni.
Andò personalmente a prenderla e la portò subito a casa nostra, nel laboratorio.
Mi disse di stare lontano e di pazientare, dopodiché si chiuse li dentro per giorni.
All'ora di pranzo e cena arrivava un collega di mio padre a cucinare e se ne andava. La mattina dopo trovavo la colazione pronta.
Passavo le giornate seduto davanti a quella porta, ad aspettare.
Arrivati al dodicesimo giorno, pensavo che beh sai, fossero morti entrambi. Avrò avuto otto massimo nove anni, non sapevo cosa aspettarmi.
Finalmente la porta si aprì. Mio padre aveva un aspetto orribile, davvero, non l'avevo mai visto così. E fra le braccia stringeva un fagottino.
Ricordo che si abbassò e senza dire una parola lo rivolse verso di me.
Due occhi azzurri mi fissarono e mi resi conto che avevo davanti la cosa più meravigliosa che avessi mai visto.
In seguito mio padre mi spiegò che aveva ricostruito le cellule mancanti e sostituto gli organi danneggiati.
Ma la cosa più importante che aveva fatto era stato impiantare JARVIS nel suo cervello. Senza JARVIS, non sarebbe stata in grado di sopravvivere capisci? Il sistema controllava tutte le sue cellule, le riparava se si feriva e le permetteva una vita normale.
Quando crebbe divenne la mia assistente e amica più fidata.
Poi durante la battaglia di New York un pezzo di ferro la colpì alla testa e la sua memoria venne gravemente danneggiata."
Sbarro gli occhi, è una storia assurda, impossibile. Lo sento avvicinarsi e in pochi attimi me lo ritrovo davanti e vengo colta dal panico. Non riesco davvero a odiarlo.
"M-ma..."
"Sei costruita in adamantio, un raro metallo praticamente indistruttibile. La dottoressa Cho ha fatto in modo che fosse coperto, come puoi vedere."
" Com'era mia madre?" Questa domanda lo lascia spiazzato, vedo che irrigidisce e distoglie lo sguardo. Avrei così tante cose da chiedergli.
"Io- sospira - io non ricordo molto di lei. Era mora e alta. Aveva gli occhi esattamente come i tuoi. Ricordo che era molto gentile con me e sopportava mio padre, la ritengo una grande qualità." Si gira nuovamente verso di me e sorride.
Non dovrei arrossire eppure mi rimane inevitabile.
"E mio padre?"
"Non ho idea di chi fosse, mi dispiace."
"E ora?" Non riesco a pronunciare una domanda migliore. La maggior parte di quelle che vorrei porre mi farebbero scoppiare in lacrime ed è l'ultima cosa che voglio.
"Ora torniamo in laboratorio, controllo i tuoi parametri e ti restituisco i ricordi che ti mancano. Poi appena ti sentirai meglio, inizierai ad allenarti con gli altri Avengers."
"Loki mi ha detto che non potrò riavere i miei ricordi...quelli che comprendono la mia vita, ma che potrai impiantarmi solo le nozioni sul mondo. È vero?"
"Purtroppo si. Tuttavia non tutti i tuoi ricordi sono persi per sempre, alcuni sono ancora presenti nel tuo cervello, devi solo riuscire a recuperarli. Come una specie di amnesia."
Si allontana ma prima che possa uscire lo trattengo per un braccio.
"Tony...i sogni che ho fatto...perché sembravano così reali?"
Il suo sguardo si fa improvvisamente serio e duro.
"Perché non erano sogni."
Rimango a bocca aperta e allento la presa sul suo braccio mentre lui ne approfitta per uscire dalla cabina.
Rientriamo alla Stark Tower a notte fonda, il jet atterra e mi aspetto di trovare il tetto deserto, invece tutti i Vendicatori ci stanno aspettando.
"Allora?" Fury mi fissa con l'occhio buono e incrocia le braccia, visibilmente impaziente.
"Eccola qui, sana e salva. E non solo, abbiamo anche un omaggio extra."
E dal retro del jet scendono Thor e Loki, che porta delle manette più strette e uno strano bavaglio.
All'improvviso mi sento mancare e mi aggrappo al braccio di Tony con tutta la forza che ho.
Appena si accorge che sto per cadere, mi sorregge.
Vedo le sue labbra muoversi ma non distinguo le parole.
Chiudo gli occhi e come un fiume in piena, i ricordi tornano ad affollare la mia mente.

Did you hear the thunder?
Or the rain?
Means I'm coming home again
Means I'm coming home my friend.

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