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"I got guns in my head and they won't go, spirits in my head and they won't go"

Gli ultimi raggi del sole illuminavano le strade di Shiganshina dolcemente, la luce era calda ma non intensa, essendo giunta l'ora del tramonto. Sasha ed io avevamo camminato per dieci minuti, prima di fermarci in un bar vicino alla stazione.

Se c'era qualcosa di Sasha che non era cambiato, a parte la sua vitalità, era appunto il suo amore per il cibo.

"Allora" iniziai io, osservandola alle prese con una brioche col gelato. "Che cosa mi sono persa tutti questi anni?"

La ragazza inarcò le sopracciglia e sorrise ampiamente, prima di rispondere. "Definitivamente troppe cose, da cosa vuoi che inizi?"

"Beh raccontami un po' della tua vita." Incalzai io, rimescolando il gelato alla fragola nella coppetta. Era un'abitudine che avevo sempre avuto, ero fissa sull'idea che dopo averlo mescolato fosse più buono.

"Beh, sono finita in classe con quasi tutto il nostro gruppo delle medie, mi sono innamorata un paio di volte, e i miei hanno divorziato." Lei abbassò gli occhi, mostrando un certo risentimento nell'ultima frase.

"Come mai?"

"Problemi coniugali, niente di così grave, ma preferirei non parlarne."

Per quanto le due frasi si contraddissero a vicenda, preferii non insistere sul tema, poiché sapevo che comunque non si sarebbe confidata con me, non in quel momento almeno.
"Stai con qualcuno ora come ora?"

"No, mi piace qualcuno però." Rispose lei, incuriosendomi maggiormente.

"Dai, non fare la misteriosa con me." Dissi, ghignando maliziosamente.

"Non è proprio una cosa seria, però se proprio insisti, si tratta di Jean." Disse lei, squadrandomi.

Probabilmente si aspettava qualche tipo di reazione risentita da parte mia, poiché Jean era, diciamo così, una vecchia conoscenza. Eravamo stati insieme un paio di volte, ma non aveva funzionato, sia per via del suo carattere immaturo, sia perché realmente non era lui che volevo. Non capivo perché lei pensasse che ci sarei rimasta male, io e lui avevamo già chiarito da tempo.

"Oddio, non pensavo che sareste mai riusciti ad andare d'accordo. Ti sei già fatta avanti?" Chiesi, genuinamente interessata.

"Sinceramente no, è sempre pieno di ragazze, e non me la sento di essere una delle tante. Ancora meno di alzargli ancora di più il livello di egocentrismo." Nonostante stesse scherzando, sentii una certa amarezza nella sua voce. "Mikasa vorrei chiederti una cosa."

La guardai con sguardo interrogativo, invitandola a continuare.

"Fra te ed Eren, è tutto apposto?" Mi chiese, guardandomi con sguardo inquisitorio.

"Credo. Cioè non direi, non ne abbiamo ancora parlato. Perché me lo chiedi?"

"L'altra sera doveva uscire con me, Christa ed i ragazzi, ma mi ha chiamata avvisandomi di non poter venire, ed era fuori di sé, non riusciva a mettere insieme una frase di senso compiuto. Poi Armin ci ha spiegato che stava così perché eri svenuta, e poi la scena di oggi, si spiegava da sola."

Sospirando, le raccontai tutto, omettendo il motivo per il quale ero tornata. Lei ascoltò il tutto, aggrottando sempre di più le sopracciglia, come se stessi parlando della vicenda di un crimine.

"A questo punto credo sia evidente che tenesse a te più che come un'amica, e ci tiene tuttora; quando ti trasferisti, era come se fosse entrato in depressione, non usciva, e se usciva era silenzioso o ci trattava ingiustamente male. Poi più i mesi passavano più si rinchiuse nella sua freddezza, divenne piano piano menefreghista e tutto ciò peggiorò alla morte di sua madre. Non dimostrava alcuna emozione, stava sulle sue e sfogave le sue emozioni represse nei videogiochi e nelle sigarette. Quella sera che ci diede buca mi resi conto che il suo modo di fare era diverso dal suo solito, sembrava vivo, e non lo era più da molto tempo. Dovresti fare qualcosa."

Strinsi involontariamente le mani sulla coppetta deformandola. Non potevo credere a ciò che mi aveva appena detto, non potevo capacitarmi di avergli fatto tutto questo male, e che ciò che ci fermava dal chiarire era il cattivo tempismo, ed il mio orgoglio.

"Comunque, non c'è bisogno che continui a vivere in hotel, puoi vivere a casa mia."

"Non c'è bisogno Sasha, va bene così, e poi i tuoi non ne sarebbero contenti."

"Mio padre vive con la sua nuova ragazza, e mia madre è sempre fuori per lavoro, la casa è completamente deserta. E poi, mi sento sola." Disse lei, ripiegando un tovagliolo tra le dita.

Con un sospiro, accettai la sua offerta, pensando che in fin dei conti sarebbe stato meglio vivere con un volto amico che completamente da sola. Lei sembrò stupita dal mio assenso, non avendo nemmeno dovuto insistere così tanto, ma non disse nulla, offrendosi di accompagnarmi a prendere le mie cose in hotel.

Una volta entrate in casa sua, notai che anche lì non era cambiato nulla: la porta d'ingresso dava sul soggiorno, una stanza dalle pareti color pesca, i cui pezzi forti erano un divano in similpelle nera e una poltrona su cui erano addossati molteplici vestiti, -da qui si poteva dedurre che la casa era completamente in mano di Sasha per la maggior parte del tempo, vista la sua tendenza al disordine-.

Di fronte c'era un televisore addossato ad una parete attrezzata con vari cd ed uno stereo. Sulla parete che fronteggiava invece la porta, si trovava un mobile con un cordless, ed alla sua destra, una porta scorrevole in legno che dava sulla cucina. Dietro il divano si trovava una scala che dava sulle stanze del piano di sopra.
Trascinai faticosamente il trolley su per le scale, fino a raggiungere una camera in fondo al corridoio, che Sasha mi aveva detto essere una camera degli ospiti.

La stanza era luminosa ed accogliente: c'era un letto a due piazze che poggiava sulla parete di fronte alla porta, con accanto un comodino. A sinistra vi era un armadio in legno di faggio, vicino ad una grande finestra a serrande, sul cui davanzale si trovava una pianta grassa. A destra c'era uno specchio che poggiava su una cassettiera dello stesso legno dell'armadio, e, di qualche centimetro più distante, una porta che dava sul bagno. Mi lasciai cadere sul letto a peso morto, guardando il soffitto.

Pensai a mio cugino, ad Eren, al sempre più imminente inizio della scuola, persino ai miei genitori; mi sentivo come se l'unica a non essere cambiata fossi io. Non avevo prospettive sulla vita, non avevo una casa mia, non ero andata avanti come invece avevano fatto gli altri.

Era come se avessi vissuto in una bolla per quattro anni, ed essendo essa finalmente scoppiata, dovessi trovarmi ad affrontare la vita vera, a cui non ero stata preparata. Avevo vissuto in modalità sopravvivenza credendo in realtà di star vivendo, e mi rendevo conto solo in quel momento che l'unica cosa che avevo realmente fatto era stata mettere da parte i miei sentimenti ed il mio dolore come polvere che si nasconde sotto il tappeto: non la vedi ma è pur sempre lì, sotto un pezzo di stoffa.

A riscuotermi dai miei pensieri arrivò Sasha, avvisandomi che per cena avrebbe comprato cibo da asporto, non avendo nulla in casa di commestibile. Il resto della serata proseguí indisturbato; per un po' guardai un film con Sasha, poi con la scusa di essere stanca, che tanto una scusa non era, e mi misi al letto, cercando di dimenticare le ultime ventiquattro ore.

I remember it all too well // eremika Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora