VIII

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"does he know that we bleed the same?"

Passiamo circa dieci minuti ogni giorno a cercare di sbrogliare il cavo delle auricolari. Non ci spieghiamo mai il perché siano così annodate, visto che l'ultima volta, eravamo certi di averle lasciate in ordine. A volte i nodi sono talmente intricati da sembrare indissolubili. A volte perdiamo subito la pazienza e decidiamo di usare le cuffiette così come sono, annodate. Certe situazioni sono come le auricolari, piene di nodi intricati. Così tanto, dal non riuscire più a distinguere il vero dal falso. Così tanto, da rimanere tali.

Il venerdì trascorse velocemente senza alcun intoppo; Eren evitó in tutti i modi gli sguardi miei e di Armin, Jean non si presentò a scuola e Sasha era più silenziosa rispetto al suo solito.

Quel pomeriggio, mentre studiavo storia per lunedì, mi arrivò un messaggio da Connie: si trattava di un invito per il giorno seguente per passare una sera tutti insieme a casa di Eren. Più che una proposta per passare un po' di tempo insieme suonava come un invito ad andare in guerra.

Nel momento in cui digitai il mio rifiuto sulla chat del ragazzo, Sasha irruppe nella mia camera chiedendomi se avessi intenzione di andare. Al mio rifiuto iniziò a controbattere dicendo che sarebbe stata la mia occasione, che tanto Jean non si sarebbe presentato perché non aveva chiarito con Eren, e che avrei dovuto portarla a casa nel momento in cui sarebbe stata troppo ubriaca per guidare.

Mi offrii di venirla a prendere quando avrebbe finito, ma che non avevo intenzione di immischiarmi più nella vita del ragazzo, ancora di più dopo ciò che era successo.
La ragazza annuì, e senza aggiungere altro uscì chiudendo la porta dietro di sé.
Rivolsi lo sguardo verso il quaderno aperto dinanzi a me, chiudendolo rassegnata.
'Se solo ci fosse un modo per uscire da questa situazione' pensai.

"Se cambi idea noi siamo lì, e detto tra noi, spero davvero che la cambi. Non vi sopporto te ed Eren." Annunciò Sasha, prendendo la sua borsa di velluto rosa.
"Non accadrà." Dissi, sistemandomi sul divano.
'Sembra quasi che importi più a lei che a me', pensai mentre facevo zapping tra i canali.
Quando la ragazza uscì, io avevo già trovato ciò che mi avrebbe tenuto compagnia per tutta la sera: repliche di Grey's Anatomy.

Credo si possa definire la mia confort serie, dato che in qualsiasi periodo buio o felice della mia vita, c'era sempre un episodio di Grey's Anatomy in riproduzione. A volte, riuscivano anche a conciliarmi il sonno, come effettivamente stava accadendo in quel momento.
Senza rendermi conto, infatti, mi addormentai col telecomando in mano.

Mi svegliai dopo un un arco di tempo imprecisato, a causa del campanello che suonava furiosamente.
Alzai la testa dai cuscini del divano interrogandomi mentalmente su chi potesse essere, e soprattutto, che ore fossero.
Una volta arrivata alla porta, vidi dallo spioncino che si trattava di Armin. Aprii la porta.
"Armin che succ-"

Senza nemmeno farmi finire la frase, egli mi prese la mano e mi trascinò fuori dalla casa.
"Mi dici che succede?" Chiesi spazientita.
"Devi venire con me." Rispose il ragazzo, continuando a trascinarmi per strada.
"Perché? Armin cosa significa tutto questo?" Chiesi nuovamente io, essendo già arrivati davanti alla sua vettura.
"Entra, ti spiego in auto."

Entrai in auto, sedendomi nel posto davanti. Una volta che anche lui si fu sistemato sul suo sedile, gli scoccai uno sguardo inquisitorio.
"Ho provato a fare finta di niente. Ho provato ad aspettare e lasciare che il tempo facesse il suo corso." Iniziò lui, mettendo in moto l'auto; i capelli biondi gli ricadevano sul viso in ciocche scomposte, coprendogli in parte l'espressione.
"Lui è così... Lui non mi ascolterà. È testardo. Non ho potere sulle cose che sono successe in passato, e nemmeno lui, ma non riesce ad accettarlo." Continuò lui, tenendo gli occhi fissi sulla strada.

"Armin, ma di che stai parlando?"
"Eren. Devi parlarci, è passato fin troppo tempo e lui merita di sapere come stanno le cose."
"Non penso che lui voglia ascoltarmi." Dissi, poggiando la testa sul sedile. Ero stanca anch'io della situazione, ma non sentivo che lottare contro la sua caparbietà mi avrebbe portata a qualcosa.
"Devi fare un tentativo. Credi che ti avrei trascinata fuori di casa contro la tua volontà se non ne fossi convinto?" Armin si voltò verso di me, i suoi occhi azzurri che sembravano quasi rischiarare il buio della notte, insistevano nei miei, incerti.
"Non ti assicuro niente." Dissi, tornando a guardare la strada attraverso il finestrino.

Una volta arrivati a casa sua, Armin mi disse di non suonare, perché Sasha era di guardia dalla finestra e ci avrebbe aperto lei.
Alla mia vista la ragazza sgranò gli occhi e corse ad aprire. Mi tirò dentro, quasi spaventata che potessi cambiare idea, e mi attirò a sé sussurrandomi che Eren si trovava nel seminterrato da quando loro erano arrivati.
Io ed Armin ci scambiammo un'occhiata significativa, prima di seguire Sasha in soggiorno.

Passai i primi quindici minuti a fare finta di conversare con Christa ed Ymir, poi con una scusa, Armin mi chiamò in disparte dicendo di dovere scambiare due parole in privato con me. In verità, Armin mi accompagnò nelle scale che portavano al piano di sotto. Nel sottoscala era collocata una porta di legno, che portava poi al seminterrato. Era il posto preferito da Eren quando voleva sfuggire dalla realtà, o quando ne aveva abbastanza della gente.

Prima di entrare lanciai un'occhiata preoccupata ad Armin, che a sua volta controbatté con una rassicurante, poi mi feci coraggio e iniziai a scendere i gradini che mi avrebbero portata da lui.

La stanza era piccola e mal distribuita, con scatoloni e bauli che adornavano l'intero ambiente e un pianoforte rotto in un angolo. Nel lato destro rispetto alla porta vi era un armadio impolverato, cui vi erano affiancate varie casse di birra. Sotto la finestra c'era una poltrona color ramato, su cui era seduto un ragazzo dal viso stravolto dalle lacrime.

Mi avvicinai di qualche passo facendogli notare la mia presenza, lui mi fissò con gli occhi lucidi ma non disse nulla. Quindi mi presi di coraggio ed iniziai io.
"Eren, credo che io e tu dovremmo parlare."
"Di qualsiasi cosa si tratti, non ne voglio parlare." Disse, abbassando lo sguardo verso il pavimento.
"Fino a qualche giorno fa volevi."
"E adesso non più. Anche non avere risposte equivale ad una risposta." Affermò, ostentando un tono calmo.

"Io ho provato a darti risposte, ma tu non mi hai dato modo."
"Perché la colpa deve sempre essere la mia? Perché la gente mi pugnala alle spalle ed è colpa mia? Perché tu mi lasci per anni ed è colpa mia? Perché mia-" Eren si interruppe di colpo, il suo volto contratto nel trattenere le lacrime.
Mi avvicinai cauta a lui, cercando di non peggiorare la situazione. Non l'avevo visto mai così distrutto, e odiavo non poter fargli smettere di piangere.

"Non ho detto che è colpa tua. È solo che ultimamente sembra mi vada tutto contro e non riesco a dire le cose quando dovrei, e nemmeno come vorrei."
"Ti va di dirmi almeno perché piangi?" Chiesi, poggiandogli una mano sulla spalla in segno di conforto.
"Perché dovrei? Per guardarti un'altra volta andare?" Eren si alzò di scatto, facendomi indietreggiare leggermente.
"Non lo farò, so che l'ultima cosa che vuoi fare è fidarti di me, ma ti prego, fallo."
Adesso ero io ad avere gli occhi lucidi.
Mi stavo iniziando a rendere conto sempre di più di quanto sia stata una cattiva idea dare ascolto ad Armin.

"Non posso più fidarmi di te, Mikasa" affermò Eren, guardandomi furioso negli occhi.
Gli stessi occhi che una volta sapevano tranquillizzarmi alla sola vista, adesso erano pieni di odio e risentimento, come se ciò che stesse dicendo facesse più male a lui che a me.

"Non avevo scelta, ero ancora una bambina, se avessi potuto-"
"Avresti potuto dirmelo. Meritavo di sapere da te che te ne saresti andata, non da qualcun altro." Disse lui, interrompendomi bruscamente.
"Ci ho provato, ti ho scritto una lettera-."
"Non ho bisogno di sentire altre bugie, va bene così." Mi interruppe, dirigendosi a grandi passi verso le scale, rifiutando di guardarmi.

"Non sto mentendo! Se solo mi lasciassi finire una frase-"
Lui mi guardava confuso, sembrava non avere idea di cosa io stessi dicendo, provando a metabolizzare la cosa.
"È che non ho più intenzione di ascoltare. Mi hai lasciato con un sacco di domande a cui ho dovuto rispondere da solo, quindi ora non c'è più niente da chiarire." Disse lui, con gli occhi velati di tristezza, mentre si apprestava a salire le scale di legno.

Ed ecco che eravamo ritornati al punto di partenza.

I remember it all too well // eremika Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora