Capitolo 12

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Quando Harry riaprì gli occhi, per un attimo non si rese conto del perché si trovasse in una camera silenziosa, così diversa dalla propria. Gli bastò un respiro, però, per riconoscere il sottofondo di fumo e l'odore di Louis, e ricordare gli ultimi avvenimenti.

Era al sicuro.

Casa, se mai ne aveva avuta una, a parte il proprio appartamento dove la presenza più consistente era la solitudine. L'aveva sempre apprezzata, prima di scoprire la soddisfazione di avere qualcuno con cui rompere il silenzio, uno sbuffo ad accogliere le proprie riflessioni e, talvolta, un sorriso o una carezza che gli riscaldavano il petto.

In quel momento non c'era nessuno.

Aggrottò la fronte mentre cercava invano di cogliere dei passi o dei rumori vicini. Niente Louis, a quanto pareva. Si mise a sedere con cautela, attento a non peggiorare il sordo pulsare alla ferita, e si servì del cuscino per sostenersi, prima di prendere la bottiglia d'acqua assieme alle pastiglie di antidolorifici. La debolezza rimaneva una sensazione spiacevole, più ancora delle fitte al fianco, per lui che aveva sempre ritenuto fondamentale potersi difendere, ma adesso c'era Louis, ad assicurarsi della sua sopravvivenza.

Non era più solo.

Non gli rimaneva che approfittare di quel pranzo leggero, pollo, pane e patate, e aspettare il suo ritorno.

Aveva avuto delle cose da sbrigare, gli aveva detto, e sarebbe stato via qualche ora, ma per qualunque bisogno gli sarebbe stato sufficiente chiamarlo al cellulare. Gli aveva anche chiesto se aveva dei risparmi o dei bagagli da voler portare con sé. Harry non aveva esitato a rivelargli l'indirizzo del piccolo appezzamento di terreno appena fuori città, comprato con la prima ricompensa che Fischer gli aveva dato, dove nascondeva la maggior parte dei soldi che guadagnava. Per il resto, a parte il libro di Ryan, non aveva nulla che desiderasse portare con sé.

«Penserò io a tutto,» gli aveva detto Louis, con una mano che indugiava tra i suoi capelli, e lui si era ritrovato diviso tra il rifiuto di essere così debole e bisognoso di aiuto e la strana quanto piacevole sensazione di avere qualcuno di cui potersi fidare.

Mangiò di buon appetito, senza voler pensare al futuro. Avrebbe avuto tutto il tempo di preoccuparsi di Fischer, delle gang e di chi voleva la sua testa; in quel momento desiderava solo crogiolarsi in quel letto più ampio e vissuto del proprio e permettersi di riprendere fiato sapendo di essere sopravvissuto. Aveva appena ripulito il piatto quando un rumore alla porta lo bloccò con la bottiglia a mezz'aria.

Qualcuno stava cercando di far scattare la serratura, ma delle chiavi non avrebbero mai prodotto quei bassi schiocchi. Non delle chiavi giuste, almeno.

Lentamente posò il vassoio sul comodino, quindi, con le dita già strette al coltello, si alzò poco a poco dal letto.

Il fianco ferito bruciava come fuoco, ma riuscì a trascinarsi fino alla porta senza un gemito, mentre i rumori continuavano sempre più decisi nell'appartamento silenzioso. Si appiattì contro il muro accanto alla porta, sforzandosi di regolare il respiro e non lasciar trapelare l'affanno che quei pochi movimenti gli avevano provocato.
Non appena la serratura scattò, strinse il manico del coltello - posata da tavola, ma abbastanza appuntita da fare male, se avesse colpito bene - si premette la mano libera contro il fianco ferito e attese.
Passi concitati di due, no, tre persone.
Mormorii indistinti, poi qualcuno che si avvicinava.

La porta si aprì di scatto lasciando intravedere la sagoma di un uomo armato, con la pistola puntata verso il centro della camera. Prima che potesse girarla verso di lui, Harry scattò e lo trafisse alla gola, affondando la lama fino al manico.

Un unico sparo rimbombò contro il muro opposto, poi l'uomo crollò al suolo con urla soffocate, premendosi le mani sulla ferita, con il coltello ancora conficcato nella giugulare.

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