Noi

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Quella sera c'era un venticello fresco, uno di quei venti che dovrebbero darti fastidio, e invece ti spalmano sul corpo dei brividi che sono un'ondata di adrenalina a cui non rinunceresti nemmeno per scherzo. E poi il modo in cui ti alleggeriscono, il modo in cui ti fanno sentire vivo... Almeno queste sensazioni potevamo godercele anche noi cimiteriali, credo.

Il viale era costeggiato di lampioni, come quelli del cimitero, ma questi non illuminavano un parcheggio spoglio e un cancello cigolante, ma delle semplici panchine di cemento e il lastricato del terreno. L'arietta fresca passava tra le foglie degli alberi con un fruscio. Era tutto semplice ma perfetto: stavo aspettando Alice. Tuttavia solo quando arrivò, quella serata si trasformò in qualcosa di pazzesco.

Camminava disinvolta verso di me, stringendosi in un cappottino nero che seguiva le linee del suo corpo e le stringeva la vita con una cintura legata in un fiocco. Le andai incontro. -Ben arrivata.

Sfoderai un sorriso enorme. Era troppo sornione, forse? Esagerato? Cercai di soffocarlo, ma diventai tutto rosso. Lei ricambiò con naturalezza. -Grazie, Gravey.

Rimasi bloccato lì a guardarla, ma lei assunse un'aria stizzita. "Oh no, la sto infastidendo? La sto guardando troppo? Devo farlo meno, devo farlo meno." Abbassai la mia attenzione sul lastricato. "Che sciocco, cosa stiamo a fare qui? È meglio se intanto la porto da qualche parte..."

-Allora Alice, com'è andata la tua giornata? Sai, forse potremmo andare ancora al cimitero degli animali a dare loro la buonanotte. Anche alla tua gattina. Si chiamava Lilly, giusto? E poi non so, se hai proposte dimmele pure, sarò ben felice di ascoltarle. A proposito, io...

Lei alzò una mano in aria, come per richiamare la mia attenzione. Ma la mia attenzione era già incollata su di lei. Come faceva a non accorgersene? O forse se n'era accorta fin troppo, forse... -Grevey? Potresti stare zitto un secondo?

-Oh sì, scusa.

Lei ridacchiò. -Se fai mille domande tutte insieme non riesco a risponderti. Forse dovresti ricominciare da capo.

-Ah sì, io stavo pensando che magari ti andava di provare il "Mangiodemoni", stasera, visto che l'altra volta...

-Gravey. - Puntò i suoi occhioni intensi nei miei, con aria severa.

-Certo, certo, te lo prometto: niente cocktail all'occhio di coccodrillo!

Lei scosse la testa e i capelli le danzarono sulla schiena come mille serpenti incantatori. - Non volevo dire questo. Volevo dire di riprendere da capo.

-Sì, sì, scusa, ma... In realtà volevo dirti un'altra cosa prima.

Lei alzò le spalle, poi mi prese per un braccio e iniziò a camminare. La seguii, deglutendo: le sue dita attorno al mio braccio erano forti, decise. Mi formicolava tutta la pelle, fino alla spalla, ma non per la sua stretta, solo perché non riuscivo a crederci: prima l'abbraccio, poi le sue dita su di me. Quindi era ufficiale: non le facevo più ribrezzo. -Io ci rinuncio, tanto continui a dire tutto quello che ti passa per la testa. Comunque, vada per il cimitero degli animali. Ma dopo ti andrebbe la solita gelateria? Mi eri sembrato a tuo agio l'altro giorno.

Annuii subito. -Certo, certo, volentieri.

Continuammo a camminare. La sua presa su di me era di fuoco, ma di un fuoco che mi scioglieva con dolcezza, ed era davvero piacevole. Ma sarebbe stato ancora più piacevole se... Anzi, fu molto più piacevole quando feci scivolare il mio braccio sotto i suoi polpastrelli e alla fine riuscii a racchiudere la sua mano nella mia, come se fosse una farfallina che andava protetta. - Mi piace il tuo outfit di stasera. Sembri una principessina della notte.

Le sfuggì una risatina. -Principessina.... della notte? Perchè?

-Insomma, è tutto nero. Non che questo gli tolga bellezza...

Avrei voluto aggiungere che quel colore la rendeva più sensuale, ma tacqui. Lei sorrise, si fermò e si girò verso di me. Le sue iridi marroni, che ora avevano catturato la luce dei lampioni, sembravano piscine di miele. I suoi denti erano bianchi e brillanti. -Così la gente che ci vede non penserà che siamo una coppia strana, che siamo troppo diversi.

Si avvicinò di un passo. Anch'io lo feci, fino a quando non ci trovammo vicinissimi. Eravamo di fianco a una panchina, alla fine del viale, ma in quel momento il mondo esterno scomparve.

-Ma noi...

Lei mi bloccò. -Tu non puoi cambiare, allora l'ho fatto io.

-Il nero ti dona. - mormorai. -Però non c'è bisogno che tu cambi. Puoi essere semplicemente te stessa, perchè ci penserò io a mandare al diavolo tutti quelli che ci guarderanno e diranno che non andiamo bene così.

Lei si morse le labbra e, come ogni volta che succedeva, il suo viso assunse un'espressione più insicura ma anche molto, molto dolce. Avrei voluto assaggiare il miele dei suoi occhi. Avrei voluto sfiorarla ancora e ancora, avrei voluto...

-Ma non lo diranno. Lo penseranno e basta.

-Ti interessa se lo pensano? Se ti chiamano "principessina dell'arcobaleno" o "principessina della notte"? Non ha nessuna importanza. Tu sei sempre tu!

E come sono io?

La distanza tra i nostri volti era pochissima: i nostri fiati si accarezzavano, io potevo percepire il calore del suo e lei quello del mio, le nostre fronti, i nostri nasi, le nostre labbra... Stavano per sfiorarsi. Tra poco avrei posato le mie labbra sulle sue e sentito se la loro consistenza era quella dei petali o delle nuvole. Ma l'avrei fatto. Ora ero pronto a farlo.

Mi abbassai di più su di lei. I brividi mi gelarono la schiena. Il mio respiro diventò più veloce e affannato.

-E che diamine!

Una voce squillante e mi fece rinvenire. Ci allontanammo di scatto e anche le nostre mani unite si separarono, lasciandomi sulla pelle solo la fredda sensazione di una mancanza. Mi guardai intorno e i colori del mondo circostante, prima tutti offuscati, tornarono vividi.

Darkness era a meno di un metro da noi. La sua borsetta di pelle nera era caduta a terra, vicino ai suoi anfibi. Era pallida. La sua bocca era dischiusa. Mi guardava con gli occhi fissi e spalancati, le pupille immobili.

-Dark, che c'è?

-Sulla tua clavicola. Sotto al collo.

Deglutì come se avesse appena visto un mostro. Abbassai lo sguardo. Okay, aveva davvero visto un mostro. E quel mostro ero io. Sulla mia pelle bianca spiccava un tatuaggio scuro, così rifinito nei contorni da far impressione, e raffigurava tre corvi neri. In volo. Mi sembrò di svenire. 

Il giovane dei desideri irrealizzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora