Piangere fa bene - Jorge Martín Almoguera

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Ho realizzato questa
storia su richiesta di
NaikeOletto

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Siamo arrivati stamattina leggermente in ritardo come conviene al mio ragazzo, Jorge, che si è subito lanciato a prepararsi al meglio per la gara.

Ormai ci sono abituata a tutte le sue routines e a tutti gli impegni imposti, come il warm up.

All'inizio mi sentivo leggermente trascurata, anche se ora capisco perfettamente; con tutto il tempo passato a prepararsi fisicamente e mentalmente per la gara, chiunque passa in secondo piano.

Così mentre si aggira per il box occupato in qualche suo esercizio, io me ne sto seduta sulla sua sedia a guardarlo fare avanti e indietro mentre fa stretching alle mani.

È il momento del weekend che più mi piace: la pace di questi attimi di calma concentrata mi fanno apprezzare sempre di più la mia fortuna.

«Martina, hai un po' d'acqua nella borsa?»

Mi chiede interrompendo i suoi riti pre-warm up.
Sorrido, annuisco con la testa e gli passo la bottiglietta che avevo nella borsa, sperando vanamente che non la finisca.

Mi ringrazia e ricomincia lo stretching, ora ripetendo all'infinito alcune frasi probabilmente dette dal suo mental coach.

Il team sembra vivere di una positività innata verso il risultato della gara; ad ascoltare i meccanici, i tecnici e chiunque lavori nel box non c'è ostacolo che non possa essere superato.

Anche Jorge è fiducioso. Ci sono tutti i prodromi di una bella giornata.

Il warm up  scorre liscio come l'olio, quindi gli occhi si puntano completamente sulla gara.
Stiamo a vedere.

***

In tre anni di relazione e almeno una dozzina di amore per il motorsport, non avevo mai visto nulla di simile.

Rimango in silenzio, fissando in loop il replay della caduta di Jorge.

La moto che va sotto di lui, i movimenti innaturali delle gambe, il colpo a terra, lo stivale che vola via, ancora e ancora anche quando sullo schermo non si vede più nulla perché nella mia testa c'è solo quello.

Tutto il paddock sembra trattenere il fiato, e io sento la terra mancarmi da sotto i piedi.

Aveva detto sarebbe andato tutto bene, me l'aveva promesso.

Torco l'orlo della maglietta del team che ho addosso, cercando un appiglio saldo nel panico.

Arriva la comunicazione che tutti quanti volevamo sentire: rider conscious.

Finalmente torno a respirare, ma lo trasportano al centro medico e ancora non sono tranquilla.

Nel casino del box, o forse più nel casino che c'è nella mia testa, mi sento parecchio disorientata.

Ignoro la borsa, che lascio nel box, e corro al centro medico.

La corsa mi dà sollievo; almeno la tachicardia ce l'ho per qualcosa di diverso dal terrore puro che ho provato vedendo Jorge cadere così.

Ho sempre saputo quanto questo sport fosse pericoloso, ma quando di corrono questi rischi si pensa sempre che una sfortuna possa capitare solo agli altri.

Ma a volte si è proprio quei fantomatici "altri".

Al centro medico c'è un gran viavai di gente del team e medici, ma specialmente giornalisti con le telecamere, le fotocamere e i microfoni.

«Ci sono notizie sulle condizioni di Martín?»

Mi chiede un reporter mentre cerco di capire dove trovare Jorge, dopo avermi toccato la spalla.

Scuoto la testa, confusa e stordita dalla situazione, senza guardare la telecamera che ho puntata in faccia, prima di rispondere:

«Vorrei tanto ce ne fossero. O almeno vorrei averne.»

Il reporter mi ringrazia e se ne va, finalmente. Non è il momento.

Il centro medico è piccolo, e non ci metto molto a trovare Jorge.

È in una stanzetta minuscola, sdraiato su una brandina, con una flebo nel braccio. Quando mi vede accenna un sorriso e gli occhi mi si riempiono di lacrime che non lascio scendere.

Mi avvicino e lo abbraccio forte, stando attenta alle gambe e alla flebo.

«Stai bene?»

Gli chiedo, guardandolo in faccia, con le mani sulle sue spalle.
Mi sorride, ma è un sorriso triste e sofferente.

«Sopravviverò.»

Rido nervosamente. Ora è così scontato, ma per un attimo dopo la caduta ho temuto il peggio.

Una lacrima gli scende lungo la guancia e lui la asciuga con un gesto secco.

«Scusa.»

Abbassa lo sguardo, mentre io gli metto la mano sul viso e lo forzo a guardarmi in faccia.

«Non ti devi scusare di niente, ok? Io sono qui, con te. Qualunque sia il problema lo risolveremo insieme. E se vuoi piangere fallo, piangere fa bene a volte, e questa è proprio una di quelle volte.»

Mi abbraccia ancora, stringendomi forte fino a togliermi il fiato.

«Mi hai fatta preoccupare tanto. Non lo fare più.»

Lo sento ridere appena, una risata di quelle che rompono un pianto e che sbocciano nella disperazione di un momento buio.

«Promesso, non lo faccio più.»

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