capitolo 9

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Ho sempre visto chi crede, come un illuso. Come si può pensare che dopo la morte esista un posto "incantato", dove tutti vivono felici, dei cherubini riccioluti suonano in ogni momento una melodia gioiosa. Spesso poi queste persone parlano delle buone azioni come se fossero i punti che assegnano i negozi quando raggiungi un certo tot di spesa, se fai del bene andrai in paradiso se fai del male ti aspettano le fiamme dell'inferno. Non so, fare del bene per aspettarsi qualcosa in cambio mi sembra abbastanza stupido anzi, ipocrita. Non mentirò però, in quei giorni dopo quello che si rivelò il mio ultimo appuntamento con quella gente, anche io in modo tutt'altro che convenzionale sperimentai una specie di avvicinamento alla religione. Recitavo delle preghiere, pronunciavo le parole a denti stretti come qualcuno che non controlla più la rabbia e in ogni modo cerca di contenersi. Non imprecavo questo no, ma mettevo quel Dio onnipresente davanti all'evidenza del suo fallimento. Se tutti sono stati creati a sua immagine e somiglianza, perché io ero così? Forse si era parecchio sopravvalutato. Mia madre, una donna abbastanza timorata di Dio ma anche dello stato, aveva fatto di tutto per farmi percorrere i giusti binari. Anche quando papà riusciva a essere assente pur trovandosi in casa con noi, un vero discorso da padre dalla sua bocca non è mai uscito era lei a fermarsi la notte prima che mi desse la buonanotte a parlare con me. Ora mi sentivo in colpa anche per quello, non ero stato nella mia vita per niente il bravo ragazzo che lei desiderava. Una notte non riuscivo ad addormentarmi, aprii l'armadio e sotto alcuni vestiti trovai una bottiglia che avevo nascosto in caso di "bisogno". Non bevvi molto ma quanto basta per essere abbastanza sbronzi da non pensare a quanto patetico potessi essere, presi il cellulare e chiamai il padre della mia ex ragazza. Piangevo e balbettavo parole sconnesse, la parola che ricordo di aver ripetuto più volte è scusa. Lui per quanto fosse comprensibile il suo odio nei miei confronti mi parlò come a un figlio, mi disse che le cose che avevo fatto come tutte le cose che accadono hanno delle conseguenze ma ero abbastanza giovane per poter rimediare. Dovevo farmi curare, quando gli chiesi di sua figlia mi rasserenò dicendo che la chemioterapia aveva ottenuto ottimi risultati e ora aspettava anche una bambina. Quella stessa notte pensai a una notte nel letto con lei, mi disse quanto desiderasse un figlio nostro, quanto diventare madre la spaventasse ma nonostante questo lo desiderasse con tutta se stessa. La immaginai in quelle vesti e l'unica cosa che vidi fu una donna forte, non mi sfiorò nemmeno alla lontana il pensiero che potesse fallire come madre. L'unico fallimento ero io, la nostra storia d'amore ma non si era ritirata sconfitta. Era stata una ritirata strategica, a perdere la guerra ero stato io, come l'esercito di Napoleone che avanzando sempre più per inseguire i soldati russi restò bloccato nella neve fino a perdere più soldati di quanti non fossero morti durante le battaglie. Lei era felice adesso, io ero fermo, imprigionato nell'abisso che avevo scavato.

MILLE, IL FIORE DI LOTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora