capitolo 17

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S'innamorò di questa ragazza più grande, nulla di sbagliato in tutto ciò ma sia io che la madre cercammo di spiegargli che doveva usare la testa e non essere impulsivo, poi ci sarebbe stato male.
La ragazza inizialmente non si comportò nemmeno male, dal suo personale punto di vista probabilmente nemmeno dopo. Il punto fu semplicemente che lui si innamorò perdutamente di una persona che lo vedeva invece solo come un amico, per quanto l'amicizia venga spesso prima dell'amore in graduatoria, in una situazione come questa non è altro che un umiliazione.
Cadde in uno stato di catarsi, non parlava nemmeno con noi, ci rispondeva molto spesso con monosillabi a volte anche sbagliando la scelta, troppo preso a essere concentrato sul suo dolore.
Da padre ma prima ancora da persona che nella vita aveva commesso un infinità di sbagli, cercai di parlargli. Gli dissi che il dolore può esserci, nessuno ne è immune ma permettergli di diventare il mostro che guida le nostre vite può portare a perderci completamente.
Gli dissi anche che era troppo giovane per stare così male per quella ragazza, una frase sbagliatissima, paragonabile a quelli che dicono a chi vuole uccidersi di non pensarci che la vita andrà avanti.
Nemmeno le stelle gli interessavano più e oltre a non dedicarsi più alla sua passione, iniziò anche a non concentrarsi nemmeno negli studi "ordinari", portando la sua media a scendere rapidamente.
Dopo questo periodo diciamo immobile sembro essersi in qualche modo ripreso, noi ci ripetevamo che sarebbe successo prima o poi. La prima cotta ci sta, però poi uno passa oltre.
Iniziò a frequentare un gruppo di suoi compagni che avevano una pseudo rock band, non ho mai capito benissimo lui all'interno del collettivo di cosa si occupasse, però sembrava molto orgoglioso qualsiasi cosa fosse.
Con i gusti musicali mutarono anche i suoi gusti nel vestire e li no non rimasi in silenzio, ogni tanto sembrava uno straccione più che il ragazzo che io e la madre avevamo cresciuto.
Lui, se criticavo il suo abbigliamento se la prendeva tantissimo, iniziava a difendere il suo bisogno di spazi, spesso capitò che ci accusasse di stargli troppo addosso, di togliergli l'aria.
A me quelle parole suonavano come lagne da bambino piccolo ma sua madre era preoccupata dalla sua indolenza, iniziò a chiedere di restare a dormire ogni tanto a casa di qualche amico, noi accettammo mossi quasi dalla compassione per quel suo disagio.
Passava molto tempo a casa di un ragazzo che si chiamava Alex e cosa facessero insieme quei due rimane un mistero. Nemmeno i genitori di Alex, due rispettabilissimi signori, sapevano rispondere a quella domanda, però sembrava più calmo e a me andava bene così.

MILLE, IL FIORE DI LOTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora