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Eccolo lì, camminava con passo svelto e la testa china di ritorno da scuola. Odiava passare per quelle strade, ma cosa poteva farci? Abitava lì.

Tom teneva la mano chiusa sulla cinghia della sua tracolla tutta rovinata, mentre come un fantasma percorreva le vie del Bronx, uno dei quartieri più pericolosi e malfati di New York, cercando di non attirare l'attenzione.

''Ma quale essere senza cuore ha deciso di farmi nascere qui. Io che con questa gente non ho niente da spartire''. Se lo ripeteva in continuazione.
Quel povero ragazzo dal cuore buono prigioniero di una realtà che non sa valorizzarlo. Piena di pregiudizi e odio. Quel ragazzino che passava le giornate aiutando chi glielo permetteva, chi non aveva paura. Cercava di cambiare la sua immagine ma invano: nessuno voleva capirlo, nessuno voleva ascoltarlo. Era stato etichettato come '' il ragazzo del Bronx'', quello da cui stare lontani, quello che avrebbe portato i ragazzi per bene sulla cattiva strada, quello da emarginare quello di cui avere paura.

Quello che però nessuno capiva era che anche Tom aveva paura. Il ragazzetto con i rasta magrolino a causa della denutrizione e pieno di segni di violenza sul corpo aveva paura della " sua gente''. Aveva una paura matta. Ma lo nascondeva, fin troppo bene. Era meglio farsi vedere forti, meglio sembrare chi non si è invece di essere visti deboli in quella realtà.

Immerso nei sui pensieri Tom non si accorse di essere arrivato. Era davanti una casetta in legno, anche se era meglio definirla catapecchia viste le condizioni di quella struttura.  Aprì la sua borsa e ne estrasse le chiavi di casa. Le infilò nella toppa e dopo un lungo respiro le girò cercando di fare il meno rumore possibile. Sperava che il padre non fosse a casa, magari sdraiato sui divanetti di qualche bar ubriaco. Ma le sue speranze furono distrutte dall'odore di alcol mischiato a erba che gli arrivò alle narci. Era abituato a quell'odore ma ogni volta che lo sentiva gli salivano dei conati di vomito. A quel punto l'unica speranza che gli rimaneva era quella che il padre fosse collassato o almeno addormentato a causa dell'alcol e del fumo. Come un leone che cerca di non farsi sentire dalla propria preda inizia ad avanzare verso la sua stanza.
Oddio, stanza è un parolone, diciamo ripostiglio con un materasso lercio sul pavimento.
Purtroppo anche queste ultime speranze furono stroncate. Era quasi arrivato quando un urlo spezzo il silenzio

''TOM''
''cazzocazzocazzo'' pensò il ragazzo. Però come aveva imparato il quindici anni e mezzo di vita era meglio ascoltarlo. Si fermò e si voltò. Il padre si alzò dal dal divano con la sigaretta in bocca e camminò verso il figlio barcollando. Si fermò a pochi passi da lui. Si scambiavano sguardi di fuoco. Il rasta lo sfidava con gl'occhi mentre implorava di non fargli male con la mente. Il padre scattò in avanti e lo spinse fino al muro facendogli sbattere la testa.
''DOVE STRACAZZO SEI STATO FIGLIO DI PUTTANA''
gli urlò a dosso. Tom non rispose
''RISPONDI STRONZO''
disse l'uomo, ma niente non rispose. Per questo si beccò uno schiaffo in pieno volto che lo fece cadere a terra. Subito dopo gli si inginocchiò su di lui
'' TI ODIO, PERCHÉ CAZZO HO DOVUTO AVERE UN FIGLIO COME TE EH? SEI SOLO UN RAGAZZETTO SENZA PALLE CHE NON RIESCE NEMMENO A SPACCIARE LA PIÙ STUPIDA DELLE DROGHE. COSA C'È CHE NON VA IN TE?''
concluse il discorso spegnendogli la sigaretta su collo. Fece una piccola smorfia di dolore ma non fiatò. Il padre si alzò e tornò a buttarsi sul divano.

Tom si rialzò massaggiandosi per alcuni secondi la guancia colpita. Se pensate che avrebbe pianto vi sbagliate, lui non piangeva o almeno non più. Molto tempo prima capì che era inutile, certo magari era liberatorio e lui di cose da buttare fuori ne aveva. Ma quello che gli serviva di più era qualcuno che ascoltasse il suo pianto, qualcuno che si immedesimmasse nella sua vita e provasse a capire come ci si sente a vivere quello schifo ogni giorno. Però la società è codarda e si ha paura del diverso. Entro nella sua stanza/ripostiglio e buttò la tracolla a terra.
Si stese qualche minuto sul letto e iniziò a pensare se rifarlo o meno. Se per un ragazzo normale in quella situazione si sarebbe fatto ricorso a uno psicologo lui doveva farlo da solo. Capire cos'è giusto e cosa no. Ma di mente era debole e cedeva nonostante provasse a smettere. Alla fine si decise. Alzò il materasso e prese quel pezzetto di ferro staccato dal rasoio circa due anni fa. Lo poggiò a terra e si levò il felpone tre volte più grande di lui, ma poiché possedeva solo tre effettivi indumenti, una felpa una magliette over size e un pantalone molto largo, gli andava più che bene per l'inverno. Si trovò a torso nudo e afferrò quel piccolo oggetto di tortura.

Together▪︎KaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora