18.

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PRICE.

C'è il tuo ritratto sopra l'asfalto
quando sbocco per
l'alcool

Non pensavo che io e la mocciosa prima o poi avremo dovuto vedere le nostre facce di cazzo prima di andare a scuola e vederle fino a quando non c'è ne saremo andati di casa.
Quei due coglioni innamorati non facevano altro che prendere decisioni del cazzo.
Per non parlare di Liam che non faceva altro che guardare la biondina.
Liam era diverso da me e non poco.
Aveva quell'animo gentile che avrebbe fatto colpo su tutti mentre io me ne fottevo di essere gentile.
Fin da bambini siamo stati cosi, io spaccavo la faccia ai ragazzini che mi rompevano il cazzo e lui provava a fermarmi e a risolvere con loro prima che mi rinchiudessero. La follia, la perversione, la cattiveria, tutto il male che ho causato e la mia totale indifferenza verso di esso, ormai li avevo superati.
Il mio dolore era costante e acuto e speravo che per nessuno ci fosse un mondo migliore, in realtà volevo solo che il mio dolore si infliggesse anche agli altri.
Volevo che nessuno si salvasse.
La mia punizione continuava a evitarmi e non ho imparato niente di nuovo su me stesso.

Mi diressi in cucina, odiavo fare colazione la mattina ma dovevo bere il mio caffè. Quando varcai la porta della cucina ad alzare gli occhi su di me fu Bianca che mangiava latte e biscotti con Liam. Amava quella colazione mentre io odiavo fin da bambino il latte.
Misi una mano tra i miei capelli scompigliati e mi versai del caffè appena fatto da Peter che in quel momento era nel suo stupido studio.

Mi appoggiai al pianerottolo della cucina e con la testa altrove cominciai a sorseggiare il caffè. Un'altra giornata del cazzo era incominciata. Ormai la vita era una fottuta merda, sembrava un countdown che si resettava ad ogni mezzanotte per poi ripetere la stessa giornata del giorno prima e del giorno prima ancora.
Ma il mio problema non era quello. Ogni volta che riaprivo gli occhi ricordavo di essere vivo. Vivo ancora. E allora tiravo una bestemmia perché mi rassegnavo al fatto che ero stato condannato a quel dolore senza fine.
Mi capite?
E quel dolore e quella rassegnazione mi portava ad essere acido e com'ero con gli altri.
Non c'era nulla di facile in ciò che ero, ogni singolo aspetto della mia persona era composto da un susseguirsi di concetti complessi.
La mia vera essenza si nascondeva dietro ai tanti muri di diffidenza che avevo innalzato, non potevo permettermi che persone incuranti di ciò che avevano davanti godessero di cose che non erano minimamente alla loro portata.

Ma comunque, avevo capito che non ero l'unico a soffrire. La vita e il mondo non erano bastardi soltanto con me ma anche con la bionda dagli occhi verde smeraldo con il viso assonnato che si era materializzata in cucina.
Scrutai la sua figura attentamente e lei arrossì senza neanche guardarmi. Capì, in quel momento, che riusciva ad accorgersi del mio sguardo senza guardarmi.
Liam andò con Bianca a preparare lo zaino con i libri e rimanemmo solo io e la mocciosa.
Io e lei.

Continuò ad ignorarmi e alzai il sopracciglio destro rimanendo serio.
«Principessa, come mai non ha dormito? La camera non era di suo gradimento?» la presi in giro.

Finalmente, quei occhi verdi come le foreste in cui era facile perdersi, si posarono su di me e quella voce da bambina risuonò nelle mie orecchie.
«Adesso sei calmo e mi rivolgi la parola?» sbottò ignorando completamente ciò che avevo detto.

Mi rendevo conto di come trattassi le persone ma non ci potevo fare nulla, ero io e non sarei cambiato. In più era in camera mia senza il mio permesso, che cazzo voleva? Possibile che doveva farmi girare i coglioni già di mattina? E se saremo andati di così per tutte le mattine il mio cazzo che fine avrebbe fatto?

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