Me sa che resteremo qua per un po'

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È risaputo che la porta dello stanzino degli attrezzi adiacente alla palestra del liceo Da Vinci sia mezza scassata.

È risaputo che non bisogna mai lasciare le chiavi appese fuori, che è raccomandabile bloccare la porta e far sì che rimanga aperta per evitare di restare chiusi dentro, visto che la serratura è difettosa e può aprirsi solo dall'esterno.

Simone lo sa bene e infatti, prima di rimettere al proprio posto ciò che hanno utilizzato quel giorno per la lezione di educazione fisica, ha fermato la porta con la sacca che usa per portare a scuola la tuta e le scarpe da ginnastica.

Sta sistemando gli ultimi palloni da pallavolo quando dalla porta aperta sente giungere la voce di Manuel.

«Simò?».

«Sto qua!» dice rimettendosi dritto, ma con una spalla urta dei coni che sporgevano da una mensola e questi cadono per terra con un tonfo.

«Oh ma ch'hai fatto?» ridacchia Manuel che nel frattempo l'ha raggiunto. «Dovevi sistema', non fa' più casino».

«Ah-ah» sillaba Simone per niente divertito. «Aiutami, piuttosto».

I due si piegano sulle ginocchia e in poco tempo riescono a rimettere i coni al loro posto, ma quando Simone si volta verso l'uscita dello stanzino si blocca di colpo.

«Manuel, perché la porta è chiusa?». Sposta lo sguardo sull'amico e lo vede reggere con una mano i lacci di una sacca – la sua sacca. «E perché hai tu la mia sacca?» chiede, leggermente isterico.

«L'ho presa prima quando te so' venuto a cerca', stava pe' terra».

Simone chiude gli occhi, incredulo. Si porta due dita a tenersi il naso mentre con l'altra gesticola. «Era per terra per bloccare la porta! Dio, Manuel, lo sanno tutti che 'sta porta si apre solo da fuori!».

«Eh vabbè mo chiamiamo qualcuno no? 'Ndo sta il telefono tuo?» domanda Manuel iniziando a rovistare nella sacca di Simone.

«Nello zaino» risponde lui, «in classe».

«Merda» pronuncia Manuel, «pure il mio».

Simone si poggia con la schiena al muro scrostato dello stanzino, lasciando andare la testa all'indietro e sospirando forte. Manuel poggia la sacca sul pavimento e gli si posiziona di fronte, imitandolo.
Il ripostiglio non è molto grande quindi messi in quella posizione, con le gambe leggermente avanti rispetto al corpo, le punte delle loro scarpe si toccano.

«E mo?» chiede Simone.

«Me sa che resteremo qua per un po'».

«Vabbè ma Battaglia dovrà tornare, no? La campanella dovrebbe suonare tra poco».

«Non penso, il martedì c'ha solo le prime due ore e poi esce» scuote la testa Manuel.

«Cazzo. Magari l'altro prof?».

«Chi, quello che fa solo teoria e scenne in palestra 'na volta al mese?».

Simone sbatte la testa contro il muro dietro di sé. «E mo chi lo sente Lombardi» borbotta.

«Figurate, quello se 'n me vede in classe je faccio 'n favore» ridacchia, e Simone lo segue.

Passano circa cinque minuti in cui nessuno dei due parla, gli sguardi che ogni tanto si incontrano e poi sfuggono veloci. Non che non siano abituati a stare da soli – è da quando si sono avvicinati che vivono praticamente in simbiosi – ma dopo il compleanno di Simone, e dopo l'incidente, qualcosa è... cambiato. Manuel non ha ancora le idee chiarissime, ma è convinto che forse dovrebbe iniziare a pensare che non è stato qualcosa a cambiare, bensì qualcuno.

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