Capitolo 1

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«Harley Collins?»
Sento qualcuno chiamare il mio nome e alzo la testa, poco fa tenuta fra le mie mani.
Vedo la consulente con un piccolo sorriso sulle labbra e mi alzo accompagnata da una guardia. Entro nel suo piccolo ufficio e mi fa sedere vicino alla sua scrivania, mentre lei si siede dietro di essa.
«Come stai, Harley?» mi chiede e io faccio spallucce. «Harley, ne abbiamo già parlato di questo. Devi parlare o altrimenti segno che non stai migliorando affatto» mi supplica con gli occhi e io alzo i miei al cielo.
«Sto da schifo. Ma secondo lei, vivere in uno stupido ospedale psichiatrico mi fa stare bene?» le chiedo con tono acido.
«Ti capisco, Harley... »
«No, lei non sa cosa passo in questo posto di merda» rispondo subito.
«Harley, sto solo cercando di aiutarti. Tu lo sai che se migliori durante i nostri appuntamenti, c'è la piccola possibilità che tu possa uscire da questo posto, no?»
Ghigno.
«Sta mentendo» lei mi guarda spalancando leggermente gli occhi e deglutisce. «So benissimo che dopo quello che ho fatto là fuori cinque mesi fa, non mi faranno mai uscire da qui. O almeno, non mi faranno mai uscire da qui viva»
«Cerco solo di allegerire l'aria, Harley»
«Beh, lo sta facendo nel modo sbagliato»
Sono rimasta la stessa di sempre, magari anche peggio. Sono più testarda, più cattiva e, più importante, più letale.
So ancora difendermi. Infatti, mi alleno nella mia cella ogni giorno facendo addominali. Tanto non ho niente da fare tutto il giorno.
«Perché le tue nocche sono rosse?» mi chiede e le guardo.
«Ho preso a pugni il muro ieri notte»
«Perché? Cosa ha scatenato questa tua rabbia?»
La guardo bene negli occhi prima di risponderle.
«Ho immaginato che c'era mio padre legato mentre lo picchiavo a sangue» ghigno e lei mi guarda sbigottita. «Che c'è? Ognuno ha il suo modo per sfogare la propria rabbia. Siete fortunati che non ho preso a pugni una persona» faccio spallucce. «Posso andare?» chiedo e lei annuisce con il fiato ancora sospeso. «Bene»
Mi alzo e mi dirigo verso l'uscita. Una volta fuori, la mia guardia mi accompagna fino alla mia cella e mi accascio sul letto sospirando pesantemente.
Che vita di merda.

Harry

«Harry!» sento Lynn urlare il mio nome mentre guardo il mio avversario dall'altra parte del ring. Il mio allenatore mi asciuga il sudore e il sangue sul mio viso mentre mi sciacquo la bocca con l'acqua fresca, sputandola poi nel secchio. «Harry, sei sicuro di voler continuare? Non sei ridotto molto bene» mi chiede preoccupata Lynn e io annuisco.
«Sì» dico e mi alzo in piedi andando al centro del ring.
«Ti metterò al tappeto, Styles» mi dice con un ghigno il mio avversario.
«Non credo proprio» dico e riceve un bel gancio destro in pieno viso appena suonano la campanella.
Nella mia mente appare il viso del padre di Harley, il quale scatena la mia ira e tempesto di pugni la faccia e l'addome del mio avversario. Alla fine del match so che mi sentirò un po' in colpa per averlo ridotto in poltiglia, ma mi soddisfa perché poi mi pagano per bene e tornerò a casa ancora vivo, così da poter vedere il viso di Harley sul mio cellulare prima di addormentarmi.
Poco più tardi, non riesce più a muoversi da terra e mi alzo in piedi con l'aiuto dell'arbitro. Alza il mio braccio per annunciare la mia vittoria e la folla inizia ad urlare e applaudire.
Scendo dal ring e Lynn viene subito ad abbracciarmi.
«Se Harley venisse a sapere che fai questi match, starebbe già immaginando come picchiarti per bene» dice facendomi ridacchiare. Si stacca dall'abbraccio. «Dai, vai a farti una doccia e cambiati. Poi, potrai andare a casa»
Faccio come dice e cammino verso gli spogliatoi con un piede zoppicante. Mi faccio una doccia veloce, godendo dell'acqua calda sulla mia pelle piena di lividi, per poi vestirmi e uscire da questo posto. Fuori c'è Lynn e il mio allenatore che mi aspettano mentre chiaccherano fra loro.
«Oh, eccoti. Pronto per tornare a casa?» mi chiede lei e io annuisco.
«Mettiti un bel pacco di ghiaccio sui lividi» mi dice Jason, il mio allenatore. «Ci vediamo lunedì mattina»
Io e Lynn, poi, saliamo nella sua auto e lei inizia a guidare verso casa mia. O meglio, quella che doveva essere la casa di Harley e mia.
Automaticamente, accendo il cellulare e fisso lo sfondo di esso: ci siamo io e Harley dove ci baciamo sdraiati sul letto con le coperte che coprono i nostri corpi nudi dopo aver fatto l'amore. Vorrei poterla rivedere.
«Manca anche a me» mormora di punto in bianco. «Sai, per una sorella maggiore è difficile accettare il fatto di non sapere come sta» dice alterando il suo sguardo da me alla strada. «Harry, parla. Dì qualcosa» quasi mi supplica e io sospiro appoggiando la testa sul finestrino.
«Voglio riaverla fra le mie braccia, voglio poterla sentire fra le mie braccia ancora una volta, voglio poter sentire la sua voce e voglio poter sentire la sua pelle contro la mia così che io non abbia freddo di notte quando cerco di addormentarmi»
«Harry» mi guarda ferita negli occhi e io scuoto la testa come per dirle che sto bene. «Me ne sto già occupando io per trovarla, ho degli uomini là a New York per cercarla»
«Come fai ad esserne sicura che è ancora a New York?» le chiedo confuso.
«Scommetto che ti ricordi di Zayn e Niall, vero?»
«Sì» annuisco.
«Bene, loro due sono rimasti a New York il giorno della nostra partenza e pare che Zayn abbia spiato mio padre tutti i giorni, ma un giorno non ha visto Harley con lui e si è insospettito. Mi ha detto che era impossibile che Harley aveva lasciato il paese o aveva cambiato stato perché, altrimenti, lo saprebbe» mi spiega e sento un piccolo peso andare via dal mio petto. «Niall mi ha detto che non ha ancora trovato niente perché non possono chiederlo direttamente a mio padre, ha troppi uomini e loro sono solo in due» continua a parlare. «E tranquillo, tuo padre sta bene»
«Davvero?»
«Sì» mi sorride. «Ora ci manca solo trovare Harley, e poi possiamo partire per New York per riprendercela una volta per tutte»
Sospiro guardando il paesaggio dal finestrino.
«Più facile dire che fare» mormoro.

Harley

«Ehi, svegliati. È l'ora di alzarsi» la mia guardia mi scuote una spalla e sbuffo pesantemente alzandomi dal letto pigramente. «Ma che cavolo ti sei fatta alle mani?» mi chiede e io le guardo, per poi fare spallucce
«Ho preso a pugni il muro» rispondo con nonchalance.
«Di nuovo?» chiede e intanto usciamo dalla mia cella. «Strano che non ti ho sentito neanche piangere o urlare dal dolore» commenta con tono divertito.
«Perché io sono cresciuta in posto dove mi hanno insegnato che il dolore non esiste e il silenzio è quello che domina la nostra vita» gli dico e sento che ferma i passi, facendomi girare verso di lui. «Quindi, ti consiglio di tenertele da solo le tue battute se non vuoi imparare anche tu quella lezione, che mi è costata mezza vita per impararla» lo avverto e l'unica cosa che fa è spingermi leggermente in avanti per farmi camminare.
Entriamo nella sala comune e mi siedo a un tavolino, dopo aver fregato una sigaretta alla mia guardia. Inizio ad inalare il fumo e buttarla fuori lentamente mentre mi guardo intorno; pazienti malati di mente ovunque, insieme a un paio di infermiere e guardie.
Maledico chiunque abbia creato gli ospedali psichiatrici anche per rinchiudere quelli innocenti. Cioè... non sono del tutto innocente, ma non è colpa mia se sono finita qui.
Mi siedo sul divano e inizio a girarmi i pollici. Qui la vita è un vero inferno.
«Harley» Albert si siede accanto a me e inizia a toccare i miei capelli.
Albert è un ragazzo di diciassette anni che è stato rinchiuso qui anni fa perché ha problemi mentali forti, ma non sto qua a dirli perché mi verrebbe il volta stomaco. Si è affezionato a me e io a lui ed l'unico amico che ho qui.
«Ciao Albert» gli dico.
«Harley»
A quanto pare, gli piaceva ripetere il mio nome.
«Albert, non troppo vicino» arriva un'infermiera che allontana leggermente Albert da me. «Soprattutto da lei, va bene?»
La fulmino con lo sguardo e lei si allontana subito dal divano andando verso le altre infermiere. Cristo, le taglio la lingua così la smette di insultarmi apertamente.

«Tieni»
La mia guardia fa scivolare un piatto dentro la mia cella attraverso la porticina fatta apposta per i pasti. Almeno, qui si mangia bene e non come nei manicomi di una volta.
Prendo il piatto e mi siedo sul bordo del letto, iniziando a mangiare il risotto giallo che mi avevano preparato. Grazie a Dio, non muoio di fame qui.
«Harley?» un'infermiera entra mentre sono nel bel mezzo del mio pranzo. Alzo un sopracciglio. «Qualcuno è venuto a farti visita» dice ed entra quel bastardo di mio padre.
«Tu che cazzo ci fai qui?» ringhio appoggiando il piatto sul materasso.
L'infermiera esce dalla stanza.
«Come ti va la vita qui?» chiede con un ghigno sulle labbra.
«Preferisco marcire in prigione che qui» gli sputo in faccia e lui si asciuga la guancia con un fazzoletto. «Perché sei qui?»
«Niente, volevo vederti»
«Bastardo, sei tu che mi hai mandato in questo posto rovinandomi completamente la vita e hai allontantato Harry da me!» gli urlo in faccia.
«Ancora Harry? Ma la vuoi smettere di pensare a lui? Tanto non tornerà per te»
«Stai zitto, stai zitto!» mi tappo le orecchie.
«Sono passati mesi e, sinceramente, non ho visto nessuno che è venuto a minacciarmi di ridarti indietro o qualcosa del genere. Per cui, non tornerà»
Le mie mani stavano tremando e il cuore mi batteva forte. Stavo sudando freddo e potevo sbottare tra un momento all'altro.
«Stai zitto» gli ripeto.
«Guarda in faccia la realtà, Harley» dice e stringo i denti. «Lui non ti ama»
E lì ho perso il controllo. Mi sono buttata addosso a lui e gli ho graffiato il viso con le mie unghie urlandogli contro come una pazza scatenata. Gli ho graffiato il collo, il viso... insomma, tutto la faccia.
All'improvviso sento due braccia allontanarmi dal corpo di mio padre e dimeno le gambe e le braccia per liberarmi, ma la presa era troppo forte. Poi, vedo l'infermiera avvicinarsi a me con una siringa in mano allarmandomi di più.
«No, non toccatemi! Stammi lontana!» urlo finché non sento l'ago sprofondare nella pelle del mio collo e sento il mio corpo indebolirsi immediatamente. «Voi... » mi sforzo a parlare prima di addormentarmi. «Andate all'inferno» dico prima di chiudere gli occhi e sentire il corpo cadere a peso morto.

Allora ragazze, questo capitolo è come una piccola presentazione del libro e... volevo chiedervi scusa se ci ho messo così tanto per aggiornare, ma mi è successo di tutto negli ultimi mesi (cosa brutte intendo) e non ho avuto la possibilità di scrivere.
Domanda del giorno: come è?

Trapped (sequel di Lethal) √Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora