Capitolo 31- Montana parte uno

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Marcus

Il JFK è pieno zeppo di gente e ho prenotato il mio biglietto aereo per il Montana all'ultimo minuto; ergo, sarò schiacciato in un posto scomodissimo.

Mi aspetta un viaggio fino a Bozeman e poi, per arrivare al Ranch di famiglia, mi toccherà noleggiare un'auto.

Che stress!

Odio viaggiare, odio proprio spostarmi sui mezzi di trasporto, figurarsi prendere un aereo e dopo fare chilometri in macchina per giungere a destinazione.

Il Ranch di famiglia è collocato tra Chestnut e il West End; quindi, c'è un bel po' di tempo prima che le mie chiappe tocchino il dondolo fuori dal nostro portico.

La voce metallica dell'aeroporto avvisa i passeggeri di dirigersi ai rispettivi gate, ed io mi isso il borsone in spalla e mi colloco nella marmaglia di gente che, come me, ha avuto la brutta idea di lasciare New York.

Odio viaggiare è vero, ma odio di più farlo per spostarmi da New York per tornare in Montana.

Al solo pensiero mi viene l'orticaria. Sì, mi manca il paesaggio campagnolo e il cielo con le sue innumerevoli stelle, ma a New York c'è il caos, c'è la possibilità di essere invisibile.

Nel Montana, tutti gli occhi sono puntati su di me anche se faccio di tutto per evitarlo.

Quando ero al liceo sono stato eletto re del ballo, con tanto di corona e tutto il resto. Dubito che qualcuno mi avrebbe eletto re se avesse scoperto che avevo una cotta devastante per Charles, il campione d'atletica della scuola.

Anche se all'epoca, più che parlare di "cotta", dicevo a me stesso che volevo il suo aiuto negli allenamenti.

Al primo tentativo, in cui ho visto il suo corpo sudato e senza maglietta, mi sono sentito morire e ho capito che forse Charles non era un insegnante adatto, così ho lasciato perdere e non gli ho più rivolto la parola.

Una volta in aereo, come previsto, sono strizzato tra due signore anziane che sembrano già pronte a tediarmi con i dettagli delle loro vite.

Il volo si prospetta decisamente lungo.

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«e così ho detto a mia nipote che la nonna sarebbe tornata con un souvenir di New York enorme, solo per lei!»

La vecchietta alla mia destra parla da così tanto tempo, che ho la testa inclinata verso sinistra come se portassi il peso delle sue parole sul collo. Peccato che fuggire mi è impossibile, perché a sinistra ho la vecchietta numero due che russa come se non ci fosse un domani.

Intrappolato, continuo a sorridere come un ebete nella speranza che l'aereo atterri quanto prima. A questo punto potrebbe anche schiantarsi al suolo, tanto peggio di così non può andare.

Ho il telefono in modalità aereo ma continuo a fissarlo, un po' per fuggire dalla tediosa conversazione che si sta consumando a discapito delle mie cervicali, un po' per un'irrealistica speranza che nonostante la rete internet sospesa, Jonathan mi scriva.

So che è ridicolo. Non parliamo da giorni ormai.

Ho avuto da fare con la ricerca di un appartamento last minute, che si è conclusa con me che andavo a stare da Janet.

Lei ha insistito dicendo che tanto ormai vive più da Max che a casa sua e che quindi "non mi sarebbe stata tra i piedi".

Mi ha anche detto di aver visto Jonathan, ma non ha aggiunto altro su di lui ed io non ho fatto domande.

Ho promesso che lo avrei cercato una volta risolto il casino che sono e ho deciso che glielo devo.

Non posso essere egoista e cercarlo ora, quando nella mia testa va ancora tutto a puttane.

SADLY BUT MINEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora