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25 febbraio 2018, Londra

Le pareti bianche, decorate con qualche disegno dei piccoli pazienti precedenti, trasmettono ad Harry un senso di tranquillità, dovuta alla familiarità con quel luogo. Era una piccola stanza e molto semplice, con una scrivania nell'angolo e due sedie proprio al centro della stanza, con un tavolino da te in mezzo.

Rimase in silenzio ad osservare il suo disegno preferito vicino alla finestra: era un semplice edificio, che Harry aveva riconosciuto come l'edificio nel quale si trova in quel momento, con una famiglia felice davanti. Non poteva sapere cosa effettivamente volesse trasmettere il bambino quando aveva regalato quel disegno alla dottoressa, ma sembrava quasi che volesse ringraziarla per aver reso la sua famiglia felice, di nuovo.

Oppure Harry si aggrappava a quel disegno, sperando di tornare felice anche lui, come quella famiglia.

<<Ciao Harry, come stai?>> chiese la dottoressa Ellis, quando finalmente Harry decise di sedersi. Dopo l'incidente il dottore dell'ospedale che l'aveva seguito e la sua famiglia avevano constatato che fosse meglio iniziare un percorso psicologico, per permettergli di processare tutto quello che era successo nel giro di pochi minuti e imparare a vivere in una realtà che non conosceva.

Per questo motivo aveva iniziato ad andare dalla Dottoressa Ellis almeno due volte a settimana, sperando di abbandonare quella sensazione di perdita che lo accompagnava costantemente.

<<Bene, grazie, lei?>> rispose meccanicamente, senza prestare davvero attenzione alle sue parole. Si era abituato a rispondere sempre nello stesso modo a quella domanda, nonostante ne lui ne la dottoressa ci credessero. La psicologa era, ormai, consapevole che Harry dovesse scrollarsi di dosso la sensazione di disagio che provava all'inizio della seduta, prima di riuscire ad aprirsi davvero.

<<Bene, grazie. Hai qualcosa, che vorresti condividere, che ti è successo in questo periodo? Indipendentemente dal fatto che sia una sensazione, un momento o un incontro. Sai che questo è un posto libero, nessuno può giudicarti.>>

<<Non proprio, non è successo niente.>> non incrociò gli occhi della donna davanti a lui, consapevole che avrebbe capito subito che stesse mentendo, e si concentrò a togliersi alcuni peletti del maglione bianco dal jeans nero. Si fidava della dottoressa e si trovava molto bene con lei, ma era sempre difficile per lui riuscire ad aprirsi all'inizio della seduta.

Non era una persona chiusa, soprattutto con i suoi sentimenti, ma faticava a parlare se si sentiva sotto analisi e doveva sempre scrollarsi di dosso quella sensazione, prima di riuscire a parlare liberamente con lei.

<<Sicuro? Vorresti parlarmi di qualcosa in specifico o preferisci prima riprendere il discorso del nostro vecchio incontro?>> chiese guardando gli appunti che aveva segnato la scorsa volta.

<<Potremmo iniziare da quello della scorsa volta, per favore?>>

<<Certo, sono qua per te.>> disse dolcemente, dando un'occhiata veloce alle scritte, prima di continuare a parlare: <<La scorsa volta hai chiuso la seduta dicendo che, dall'incidente, ti sembra di non provare più niente, se non una sensazione di ansia e paura. Potresti spiegarmi meglio, Harry?>>

<<Non so bene come spiegare, davvero. So che dovrei essere grato perché poteva succedermi davvero qualcosa di molto grave, mentre invece ne sono uscito solo con qualche osso rotto e una testa un po' ammaccata, ma ho costantemente l'ansia di non riuscire a tornare come prima. Voglio bene ai miei amici, davvero, ma vedo che stanno attenti a qualsiasi cosa loro dicano attorno a me, per paura che io possa avere un crollo o per paura di toccare qualche ricordo che io non possiedo.>> Si fermò un attimo per prendere fiato, incrociando lo sguardo con quello incoraggiante della dottoressa, che gli fece segno di continuare. <<E odio davvero tanto non poterli vedere completamente sereni accanto a me, anche se non è una cosa che fanno volontariamente. Ho paura di non tornare a essere come prima ed è come se mi mancasse questa persona. Non so nemmeno se ha senso tutto questo.>>

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