Fui svegliata da un suono di voci di
bambini, fievoli come il tintinnio delle
campane a vento. Le voci si fecero più
forti ed esplosero in scoppi di risa.
Ascoltai finché le risate non si
esaurirono.
Le coperte erano umide di sonno e di
rugiada e sulla federa riconobbi un
profumo familiare: era identico a quello
dei sacchettini di lavanda che la signora
Odell preparava ogni anno per regalarli
a Natale. Mi fregai gli occhi e cercai di
mettermi seduta, ma ero sprofondata nel
materasso di piume, come un uccellino
nel nido. Dopo essermi liberata, mi
sedetti e mi guardai intorno. La mia
malconcia valigia marrone appariva
fuori posto in quella stanza, su quel bel
tappeto a fiori. E i miei logori mocassini
risultavano semplicemente inopportuni
lì, sotto la delicata poltroncina antica,
con il suo bel cuscino orlato da una
balza di sangallo.
Il pensiero della mamma riaffiorò
nella mia mente. Era come se fosse
morta tanto tempo prima, quasi si
trattasse di un avvenimento ormai
confuso e sfocato, e fossero passati anni
e non giorni. Un terribile dolore mi si
diffuse nel petto quando pensai alla
signora Odell. Mi domandai se anche lei
stesse pensando a me, e se anche a lei
facesse tanto male il petto. I miei
pensieri andarono alla deriva e si
spostarono sull'avventura del
lunghissimo viaggio che avevo fatto per
arrivare fin lì e sul fatto che soltanto
poche ore prima quel cartello era
apparso sul lato della strada e mi aveva
mostrato quelle tre parole... le parole
che, lo sapevo, avrebbero cambiato per
sempre la mia vita: "Benvenuta a
Savannah".
Tutti quei pensieri mi turbinarono in
testa come coriandoli in una bufera. Mi
sentivo davvero stordita e mi lasciai
ricadere all'indietro sul cuscino, poi
chiusi gli occhi. Dovevo essermi
appisolata, perché trasalii quando una
voce tonante esplose sopra di me.
«Ti stai dormendo la vita, quassù,