Il venerdì fu un giorno pieno di attività a casa di zia Tootie. Lei era fuori di casa già prima delle otto del mattino per partecipare a una riunione molto speciale della Historic Savannah Foundation. Intorno alle nove e mezza un furgone azzurro percorse sferragliando il vialetto dietro la casa e si fermò vicino al garage. Due uomini oltrepassarono il cancello del giardino: uno portava un forbicione tagliasiepi e una borsa a due manici piena di attrezzi da giardinaggio, l’altro spingeva un tosaerba. Pochi minuti dopo sentii lo snip snip del tagliasiepi e presto il rombo del tosaerba fece irruzione dalle finestre aperte, crescendo d’intensità e poi diminuendo e ricrescendo a seconda della direzione in cui veniva spinto.
Anche Oletta era affaccendata. Con le pale del ventilatore a soffitto che le ronzavano sopra la testa, cuoceva infornate di pane e chioccioline alla cannella che io e zia Tootie avremmo mangiato nel weekend. Per quanto vivessi in quella vecchia casa solo da pochi giorni, io e Oletta avevamo già stabilito una routine mattutina. Quando il profumo dolce della pasta lievitata si diffondeva nell’aria, io mi mettevo seduta su uno sgabello vicino al ceppo da macellaio e leggevo a voce alta per Oletta uno dei miei libri di Nancy Drew.
«Certo che quella Nancy Drew è una ragazza intelligente» disse Oletta dando forma al pane. «E tu leggi proprio bene... Hai una bella voce.»
Quelle parole mi fecero arrossire. «Ho letto questo libro talmente tante volte che lo so a memoria, ormai. Ho guardato fra i libri della biblioteca di zia Tootie, ma mi sembrano tutti noiosi...»
Oletta infilò una teglia di pane in forno. «La maggior parte di quei libri era del signor Taylor, che la sua anima riposi in pace. È davvero un peccato che tu non abbia potuto conoscerlo, guarda... L’uomo più fine e gentile che ho conosciuto in vita mia. Un autentico gentiluomo.» Scrollò il capo. «Come lui non ce ne sono più.» «Di cosa è morto?» «Un attacco di cuore» mi rispose Oletta chinandosi sul fornello per regolare il timer. «Se ne stava seduto nella sua poltrona preferita, in biblioteca, ed è mancato. Oh, quanto amava leggere quell’uomo. Ogni sera, dopo cena, si sedeva e leggeva fino all’ora di dormire.»
Oletta si diresse verso la dispensa e io scivolai giù dallo sgabello e la seguii. «Com’è che era così ricco?»
«Tanto, tanto tempo fa il signor Taylor aveva comprato un terreno in Florida,» disse prendendo un sacchetto di farina dallo scaffale «e quando decise di venderlo ci fece una caterva di soldi. C’entrava qualcosa con le miniere, ma non di carbone... non so bene, cave di pietra, credo. Il signor Taylor comunque era un uomo potente e anche un’anima tanto gentile. E di solito queste qui non sono cose che vanno insieme.»
Tornammo in cucina e io tenni fermo il barattolo, in modo che Oletta potesse versarci la farina.
«La maggior parte dei libri che ci sono in biblioteca parlano di storia. Doveva piacergli proprio tanto la storia.»
Oletta annuì. «Poco ma sicuro. Ma non credo che ci siano libri che possano piacerti, su quei ripiani. Nel pomeriggio ti accompagno alla biblioteca pubblica. Di certo avranno un sacco di libri per bambini.» Mi guardò e mi strizzò un occhio. «Compresi quelli svegli come te.»Dietro di me una donna parlò... e se
fosse stata un colore, la sua voce sarebbe stata una sfumatura vellutata di viola. «Non c’è bisogno di andare fino alla biblioteca pubblica.»
Io voltai la testa per guardare al di sopra della spalla e rimasi senza fiato. Era come se l’universo mi si fosse spalancato davanti agli occhi. Incorniciata dallo stipite della porta, una mano dalla manicure perfetta sul fianco, l’altra appoggiata al montante, c’era l’imperatrice regnante di una qualche misteriosa terra esotica. Benché avesse superato da un pezzo lo zenit della giovinezza, inconfondibili resti di una segreta bellezza si irradiavano da tutti i pori della sua candida pelle di porcellana. Intorno alle caviglie, leggero come un filo di fumo e color della mezzanotte, le svolazzava l’orlo di un caffettano di seta punteggiato di minuscole scintille d’argento. I capelli rossi e ondulati erano raccolti sulla sommità del capo come il piumaggio di un bizzarro uccello.
«A casa ho una biblioteca ben fornita a cui nessuno presta la minima attenzione, a parte per un’occasionale spolverata» dichiarò con le labbra più rosse che avessi mai visto. «Se vuoi venire a dare un’occhiata, sei la benvenuta. Puoi prendere in prestito quello che ti pare.» E mi rivolse un sorriso indolente, felino. «Suppongo che tu sia Cecelia.»
Oletta sorrise con cordialità. «Salve, Miz Goodpepper, come va? Questa bambina qui è Cecelia Rose Honeycutt, la pronipote di Miz Tootie. Cecelia, la signora è Miz Thelma Rae Goodpepper, che abita nella casa qui accanto.»
«È un piacere conoscerti, Cecelia» disse lei fluttuando verso di me con un paio di ciabattine di lamé argenteo. Mi tese la mano. Appollaiato sul suo indice destro c’era un anello con una pietra verde grossa come una nocciola.
Non sapevo bene se dovevo baciarle l’anello o farle un inchino. Alla fine mi limitai a stringere la mano tesa e riuscii a tirar fuori la voce per farfugliare: «Grazie».
Gli occhi azzurri brillarono. «Come dicevo, vieni quando vuoi a fare un giro nella mia biblioteca. Ho migliaia di volumi e sono sicura che ne troverai parecchi di tuo gradimento.» La signora diede uno sguardo con la coda dell’occhio a Oletta. «Me ne stavo seduta nel mio giardino a bere una tazza di caffè quando il profumo di un’ambrosia paradisiaca si è diffuso nell’aria ed è arrivato alle mie narici. Così mi sono detta: “Thelma Rae, Oletta sta facendo le sue favolose chioccioline alla cannella”.»
Inorgoglita, Oletta indicò una teglia di brioche. «Il suo naso aveva ragione. Ne ho qui una dozzina quasi pronte. E quando saranno fredde le coprirò con la loro bella glassa.»
Miz Goodpepper chiuse gli occhi, si portò una mano al petto e inspirò profondamente. «Oletta tu sei la regina della cucina, qui a Savannah. Mi rendo conto che è vergognoso il modo in cui piombo qui fiutando l’aria come un cane, implorando le meraviglie che escono dal tuo forno. Ma vorrei tanto avere un paio di quelle chioccioline, se te ne avanzano.»
Oletta era raggiante, tanto che sembrava un neon acceso. «Lo sa che ne faccio sempre qualcuna in più per lei. Le mando Cecelia Rose a portargliele appena saranno glassate.»
«Sei davvero un tesoro» disse la vicina esalando un sospiro rapito. «Lo sai che mi prenderei a calci tutti i giorni... Avrei dovuto strapparti a Tootie un sacco di anni fa.» Si portò alle labbra la punta delle dita sottili e schioccò un sonoro bacio a Oletta, poi girò sui tacchi e scomparve, lasciandosi dietro una scia di profumo speziato.
Fu in quell’istante che, per la prima volta nella mia vita, compresi la potente forza nascosta della bellezza.
Più tardi, quel giorno, Oletta mise su un piatto di carta tre chioccioline alla cannella, generosamente glassate. «Queste dovrebbero far felice Miz Goodpepper. Sono le più grosse che ho fatto.»
«Sembra... be’, è come se venisse da un paese straniero...» osservai affondando il dito nella scodella della glassa.
«Miz Goodpepper è sempre vissuta a Savannah, ma certe volte si veste un po’ strana, poco ma sicuro» mi spiegò Oletta coprendo il piatto con un foglio di carta d’alluminio e ripiegandone con cura gli orli sotto il bordo. «Fammi un piacere, portagliele tu. C’è un sentierino in giardino che arriva dritto al cortile dietro casa sua.»
Il cuore mi fece una capriola nel petto. Non avrei saputo dire cosa fosse, ma qualcosa in Miz Goodpepper mi spaventava. Feci un passo indietro e morsi il labbro inferiore.
Oletta aggrottò la fronte. «Cosa c’è, bambina?»
«Non-non è che-che po-potresti venire con me-me?» balbettai.
Lei mi studiò con gli occhi appena socchiusi. «Hai paura di Miz Goodpepper?»
«I-io... be’, forse un pochino.»
«Oh, Cecelia,» esclamò Oletta con una risata «non c’è proprio motivo, guarda. Miz Goodpepper è la persona più gentile del mondo. Quindi non preoccuparti.» Mi porse il piatto coperto di carta d’argento e mi indicò la porta di servizio con un cenno del mento. «Dai, vai. Io devo controllare il forno.» Sapevo benissimo che non avrei potuto cavarmela in nessun modo, perciò presi il piatto e andai verso la porta. Avevo già la bocca secca al solo pensiero di trovarmi da sola con Miz Goodpepper.
Passai sotto una quercia gigantesca e trovai una piccola apertura nella siepe nascosta da un poderoso intrico di rami coperti di muschio.
Feci un profondo respiro ed entrai nel cortile di Miz Goodpepper. Grata che la padrona di casa non si vedesse in giro, percorsi un sentiero che portava alla veranda posteriore dell’edificio, sperando di poter lasciare il piatto accanto alla porta e fuggire precipitosamente a casa Il cortile era un mare di colori. Non avevo mai visto tanti fiori in un solo posto. Nello stravagante giardino fluttuava un pezzo di musica classica. Non sapevo da dove venisse, ma era come se un’orchestra fosse nascosta in mezzo al fogliame lussureggiante. Camminai sotto una pergola di vite e la casa della signora Goodpepper apparve in piena vista. Era una colossale mostruosità di pietra grigia e sembrava più un mausoleo che un luogo in cui qualcuno vivesse sul serio.
Un verso stridulo mi fece trasalire. Mi voltai e vidi un pavone in mezzo a una macchia di sole, sul prato. Era bello da togliere il fiato. Rimasi immobile mentre l’animale faceva qualche passo esitante verso di me, poi si fermò, piegò la testa di lato e mi esaminò da capo a piedi. Immaginai che fosse deluso da ciò che vedeva, perché di colpo abbassò la cresta e se ne andò camminando con sussiego.
Sentii uno splash seguito da un gorgoglio e quando mi girai vidi la testa di Miz Goodpepper che spuntava da sopra una fitta siepe. Aveva i capelli bagnati.
«Oh, ma che bella sorpresa» esclamò avvolgendosi la testa in un asciugamano di spugna. «Aspetta che mi metto qualcosa. Arrivo subito.»
Un attimo dopo riapparve. Indossava un accappatoio di raso azzurro argento e un paio di infradito rosa, iridescenti. Quando vide la mia espressione allibita, le sue labbra accennarono un sorriso.
«Mi pare di capire che non hai mai visto una vasca da bagno all’aperto» ragionò stringendo la cintura dell’accappatoio. Poi fece un cenno verso un’apertura nel fogliame perfettamente potata. «Vieni a dare un’occhiata.»
Feci qualche passo in avanti e sbirciai dall’altra parte. Su una spessa lastra di marmo grigio c’era una vasca da bagno antiquata, con zampe ad artiglio, macchiata di muschio. L’acqua e la schiuma scendevano vorticando nello scarico, con un gorgoglio. Accanto alla vasca c’era la statua di marmo a grandezza naturale di una donna con le braccia tese. Appeso a ogni mano c’era un asciugamano bagnato.
Miz Goodpepper guardava piena d’orgoglio la sua vasca. «È affascinante, non trovi? Io la chiamo il mio centro benessere segreto. Una volta o l’altra devi venire a provarla. A me piace moltissimo usarla la sera tardi. Non c’è nulla di più rilassante che sdraiarsi lì a guardare le stelle.» Fece un cenno verso il pavone. «Vedo che hai già conosciuto Louie. È un così bel ragazzo, ma è poco socievole, vero? Appartiene a un vicino, in realtà, ma gironzola spessissimo da queste parti.» Rivolse all’uccello uno sguardo affettuoso. «Louie è un po’ un voyeur, sai? Gli piace sbirciare tra i cespugli e guardarmi quando faccio il bagno.»
Non sapevo cosa dire riguardo al “centro benessere segreto” o al pavone voyeur, perciò mi limitai a porgerle il piatto coperto di alluminio. «Queste sono da parte di Oletta.»
«Grazie, cara, che gentile» mi disse Miz Goodpepper, con un elegante gesto verso l’abitazione. «Benvenuta nella mia casa, Cecelia. Prego, entra.»
Una folata di brezza tiepida le fece svolazzare l’accappatoio intorno alle caviglie e il lieve profumo del bagnoschiuma aleggiò nell’aria mentre la seguivo. Louie emise un verso assordante e si diresse nella direzione opposta.
Quando entrammo nella cucina di Miz Goodpepper, abbassai gli occhi sui miei calzoncini sgualciti e sulle Red Ball Jets impolverate e mi sentii sciatta, come Paperino al cospetto di un grande airone cinerino. Prima che riuscissi a rendermene conto, però, la padrona di casa mi prese per mano e mi trascinò giù per un lungo corridoio fresco.
«Questa è la biblioteca» mi disse facendomi entrare in una stanza che profumava di cuoio vecchio e di libri. Sopra un camino massiccio era appesa la foto sbiadita di un ufficiale militare, che guardava con aria tetra al di là del vetro impolverato. Non c’erano tende alle finestre. Al loro posto, appesi a spaghi di diversa lunghezza fissati con piccoli chiodi alle modanature in gesso, c’erano moltissimi prismi di cristallo, a centinaia, di tutte le forme e di tutte le misure. Catturavano la luce pomeridiana e proiettavano altrettanti arcobaleni in miniatura sulle pareti e sul soffitto. A un gancio accanto a una delle pareti era appesa una gabbia per uccelli, dorata, con lo sportellino aperto.
«Ha un uccellino?» domandai guardandomi intorno.
«Oh, cielo, no. Non metterei mai in gabbia un uccello. Non posso immaginare un destino peggiore, non credi? No, ho comprato questa gabbia molti anni fa, in Perù. L’ho appesa lì e ho lasciato lo sportellino aperto per ricordami sempre di quanto sia deliziosa la libertà... economica e di qualsiasi altro genere.»
Le sue labbra formarono uno strano sorriso e Miz Goodpepper si voltò per guardare fuori dalla finestra. Quello sguardo perso, come se fosse in trance, mi mise a disagio, perciò presi una copia di «Vogue» da un tavolino e dissi: «Mi piace sfogliare le riviste. La bibliotecaria di Willoughby mi dava sempre i numeri vecchi».
Miz Goodpepper sbatté le palpebre. «Scusa, come dicevi?»
«Stavo dicendo che mi piace guardare le riviste, soprattutto le illustrazioni.»
Lei allungò una mano, mi fece scivolare il giornale dalle dita e studiò la modella in copertina. «Una volta io ero proprio così. Ma dopo i quarant’anni la mia vita è diventata una lotta quotidiana per tenermi su. Ho compiuto quarantacinque anni lo scorso febbraio e, lascia che te lo dica, ogni giorno ormai non è altro che un insulto.» E lanciò con disgusto la rivista sul tavolino. «Invecchiare è un tremendo schiaffo in faccia. Il mio corpo mi tradisce a ogni occasione.»
Alzò il mento e si avvolse meglio l’asciugamano in testa.
«Oh, be’, preferisco morire con una delle chioccioline alla cannella di Oletta in bocca che con un pidocchioso gambo di sedano. Comunque, come puoi vedere, ho tonnellate di libri qui dentro. Prendi quelli che vuoi. Se hai bisogno di me, mi trovi in cucina.» Quando si voltò e uscì dalla stanza, l’orlo dell’accappatoio svolazzò facendo rotolare granelli di polvere sul pavimento. Mentre il ritmico slap-slap- slap delle sue infradito si allontanava lungo il corridoio, io cominciai a esplorare i ripiani incurvati dal peso.
C’erano libri su qualsiasi argomento possibile e immaginabile, dai poteri curativi dei cristalli a studi sulle rovine maya, fino a un volume dal titolo Esplorare i sacri fuochi: guida al Kamasutra per principianti. Non avevo mai sentito parlare di un posto con quel nome e mi immaginai un noiosissimo vulcano chissà dove, quindi rimisi il libro sullo scaffale.
Mi bastarono pochi minuti per trovare una ventina di libri che avevo voglia di leggere, ma per non sembrare ingorda ne scartai tredici e ridussi la scelta a sette, poi tornai in cucina. Miz Goodpepper era in piedi davanti al banco da lavoro e riempiva di vestiti alcuni sacchetti di carta per la spesa. Appeso a uno dei pomoli di una piattaia c’era un abito da sera di taffettà rosso, con sottili spalline di strass. Il vestito era davvero, davvero molto stravagante e davvero, davvero molto rosso. Il rosso brillante, bruciante, di certi pennarelli Crayola.
La padrona di casa alzò gli occhi su di me ed esclamò: «Oh, sono contenta che tu abbia trovato qualcosa di tuo gradimento. Ti va un bicchiere di limonata?». Benché avessi sperato di ringraziarla per i libri e tagliare la corda, non volevo passare per maleducata, quindi annuii e appoggiai sul bancone la mia pila di libri. Poi, mentre Miz Goodpepper prendeva una brocca dal frigorifero, le domandai: «Mi scusi, il Kamasutra è un vulcano?».
Lei trattenne il fiato e versò la bibita fuori dal bicchiere. Aveva uno stranissimo sguardo mentre asciugava quel pasticcio con della carta assorbente da cucina. «Be’, suppongo che qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un vulcano, per certi versi, ma io posso dirti con assoluta sicurezza che quel libro non ti piacerebbe.»
«In effetti l’ho pensato anch’io,» dissi compiaciuta di me stessa «perciò l’ho rimesso sullo scaffale.»
Miz Goodpepper emise un sospiro appena percettibile. «Bene.»
«Bello...» dissi indicando l’abito rosso. «Deve andare a una festa?»
Mi porse la limonata e spostò lo sguardo sul vestito. «Carino, vero? Ma no, non ho più intenzione di indossare quell’abito. Lo dono alla protezione animali di Savannah per il mercatino di beneficenza annuale.
Quel vestito costa un occhio della testa. È una vergogna che io l’abbia messo solo due volte» aggiunse Miz Goodpepper con un sorriso malinconico. «L’ho comprato per un ballo di beneficenza nel 1959. Mi sentivo una meraviglia dentro quel vestito. Era adattissimo alla mia personalità. Ma quando io e mio marito salimmo in macchina per tornare a casa, quella sera, lui mi disse che l’avevo messo in imbarazzo. Ebbe addirittura la sfrontatezza di dirmi che sembravo una prostituta. E mi ordinò di non indossare mai più quell’abito.»
Appoggiò il fianco al banco da lavoro e si mise a braccia conserte.
«Perciò lo cacciai in fondo all’armadio e quasi me ne dimenticai. Ma poi, chi l’avrebbe mai detto, tre anni dopo ebbi l’occasione di rimettere per un’ultima volta quel bel vestito.» Fece un sorrisetto storto e le brillarono gli occhi. «Lo misi in tribunale, il giorno in cui divorziai da mio marito.»
Non sapevo proprio cosa dire. Stava scherzando o era seria? Miz Goodpepper fece una risatina acida, prese una bottiglia di vino dal piano di lavoro e un calice di vetro sottile come un rasoio da uno dei pensili. «Dai, siediti con me per un momento.»
Presi il mio bicchiere di limonata e la seguii. Mentre uscivamo in veranda, la musica di un violino provenne da una finestra aperta. Crebbe di intensità diffondendosi in tutto il giardino e si concluse con un vibrante crescendo. La padrona di casa si abbandonò sui cuscini di una chaise-longue sistemata sotto una pergola di un rampicante dai rami nodosi e contorti. Io mi sedetti su una sedia a dondolo lì accanto.
«Che cos’è?» domandai passando le dita su un tratto di corteccia liscia.
«Un glicine» mi rispose svolgendo l’asciugamano dalla testa e scuotendo i capelli umidi per dargli volume. «Quando fiorisce in primavera, ha i più bei grappoli di fiori viola che tu possa immaginare. Il glicine è il rampicante fiorito che preferisco. E sai perché?» Feci no con la testa. «No, signora.» «Perché è forte, proprio come me. Ma se non te ne occupi, il glicine cresce in modo incontrollato, selvaggio. Pensa che può sollevare una veranda dalle fondamenta. Mi ricordo una volta...»
Parlava di piante e delle meraviglie della natura con una passione che le faceva brillare gli occhi, senza mai smettere di bere vino, come se fosse acqua. Ogni volta che Miz Goodpepper si muoveva, l’accappatoio di seta scivolava di lato, svelando le lunghe gambe snelle.
«Il mio amore per la natura è una delle ragioni per cui suono musica in giardino. Vedi quella camelia?» mi disse indicando un cespuglio in fondo al giardino. «Le piace particolarmente la Sinfonia numero 12 in Sol maggiore di Mozart. Invece le mie rose adorano Chopin. E una volta che la mia palma da sagù più vecchia aveva cominciato a soffrire e sembrava malata, ho suonato un’opera di Puccini a tutto volume, il massimo che lo stereo potesse raggiungere, e sai che quella vecchia palma si è ripresa?»
Non avevo mai sentito dire che alle piante piacesse la musica, ma non volevo fare la figura della stupida chiedendo chiarimenti in proposito, perciò sorrisi con l’aria di essere informatissima.
«Questo giardino è la mia più grande gioia. Consola il mio spirito ed eleva la mia consapevolezza. Passo le mie giornate in comunione con la natura e devo la mia serenità e l’amore che nutro per tutti gli esseri viventi a sua santità il Dalai Lama.» «Chi sarebbe?» «È il capo supremo del buddhismo tibetano ed è un grande maestro spirituale. Una delle cose più importanti che insegna è che non dobbiamo mai fare del male a nessun essere vivente. Mai. Perché causa un karma terribile.»
Bevvi un sorso di limonata. «Karma? Che cos’è?»
Lei appoggiò la testa al cuscino e rifletté per un momento. «Il karma scaturisce dalle azioni mentali, fisiche e verbali. È la somma di tutto ciò che abbiamo detto, fatto e pensato, in bene oppure in male.»
Rimasi seduta in silenzio ad ascoltare tutto ciò che diceva, ma quella faccenda del karma continuava a frullarmi per la testa. E quando cominciò a parlare di come ci reincarniamo per purificare il nostro karma in modo da poter raggiungere alla fine un posto che si chiama nirvana, mi dissi che per me era ora di tornare a casa. Mentre stavo per alzarmi e scusarmi, però, Miz Goodpepper attaccò con gli innumerevoli mali che la gente fa alla terra e al regno animale.
«Guarda, qui c’è un ottimo esempio di karma terribile» disse amareggiata indicando il ceppo di un albero vicino alla siepe che separava il suo cortile dalla piscina di Miz Hobbs. «Quel povero ceppo inaridito è tutto ciò che resta di una splendida magnolia. Non puoi nemmeno immaginare che meraviglia fosse. Ogni primavera si copriva di migliaia di fiori dal profumo così buono e delicato che faceva quasi male al cuore. Amavo quell’albero. Ogni mattina mi sedevo sotto la sua chioma, all’ombra e al fresco, e meditavo. Quella magnolia emanava una tale energia... una forza meravigliosa che sentivo pulsare dentro di me ogni volta che mi appoggiavo al tronco.» Buttò giù una gran sorsata di vino e la sua espressione si indurì di colpo. «Ma quell’albero bellissimo e indifeso è stato assassinato!»
Sobbalzai, rovesciandomi la limonata sui calzoncini. «Assassinato?»
La sua voce era intrisa di un’acredine velenosa quando mi rispose: «Sì. Assassinato a sangue freddo. Mentre ero fuori città, in aprile, la mia vicina, quella grande vagina spalancata altrimenti detta Violene Hobbs, l’ha ucciso».
Non sapevo proprio cosa pensare, e ancor meno cosa dire. Un silenzio pesante calò sul giardino mentre entrambe fissavamo la chiazza di cielo azzurro che la magnolia aveva occupato un tempo.
Miz Goodpepper si scostò dalla fronte una ciocca di capelli. «Uccidere qualsiasi cosa è di per sé un gesto criminale, ma una sudista che uccide una magnolia? Be’, quello è un imperdonabile sacrilegio ai danni della natura e contro il Sud. Violene Hobbs è la vedova nera di Savannah. Stai lontana da quella donna, Cecelia. Dietro quella voce sdolcinata non c’è altro che male, male puro.» Rise, una risata amara e senza umorismo. «Non mi restano abbastanza anni da vivere perché le ferite che quella donna malvagia mi ha inflitto si possano cicatrizzare.»
Senza dubbio quella era la conversazione più affascinante a cui avessi mai preso parte. Mi sistemai meglio sulla sedia per stare più comoda. «Perché ha assassinato l’albero?»
Miz Goodpepper si versò altro vino, lo fece girare nel bicchiere, poi lo bevve in un unico, lungo sorso. I suoi occhi si ridussero a due fessure azzurre quando strinse la cintura dell’accappatoio con uno strattone rabbioso. «Ha ucciso quell’albero meraviglioso perché era preoccupata che un vento forte potesse farlo cadere nella sua piscina. Ora, non è la cosa più ridicola che tu abbia mai sentito?» Non potei che convenire. «Appena l’ho conosciuta, fin dal primo momento, ho capito che Violene era una cretina con un pisello al posto del cervello. Ho conosciuto felci con un quoziente d’intelligenza più alto del suo. Eppure non riesco ancora a credere che abbia assassinato quella magnolia. Riesco a malapena a sopportare di pensarci. Quel bell’albero era la casa di un’infinità di uccelli e di scoiattoli. Oh, quanto mi sarebbe piaciuto che lo vedessi. Era come inspirare un angolo di paradiso.» Fece una pausa per finire la bottiglia di vino, poi aggiunse: «Ma adesso, dopo la pioggia, l’unica cosa che posso respirare è un odore di morte. Hai mai sentito l’odore di un albero che sta morendo dopo che è piovuto?». «No, signora. Credo di no.» «Be’, lo spero proprio per te» mi disse facendosi girare il misterioso anello verde intorno al dito. «Ti garantisco che è un odore che basta sentirlo una volta per non dimenticarlo più. Ricorda quello che ti dico: un giorno tutte le azioni malvagie che Violene Hobbs ha commesso si uniranno a formare un enorme boomerang nero di karma negativo che turbinerà in cielo e la abbatterà.» Miz Goodpepper chiuse gli occhi e sospirò. «Spero solo di essere ancora in circolazione e di assistere alla scena.»
Mi guardai le mani. Ancora una volta non sapevo cosa rispondere. Non avevo mai sentito parlare di un sant’uomo che si chiamava come un lama né di un’enorme vagina spalancata e non sapevo un bel niente del boomerang nero di karma. C’era una sola cosa che sapevo per certo: ero appena stata scagliata in un mondo strano e profumato che, a quanto potevo giudicare, sembrava governato soltanto da donne.
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