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Leggete lo spazio autrice alla fine del capitolo.

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I brividi sembrano esser diventati i migliori amici di Luke.

E ne sarebbero apprezzati se solo fossero gli stessi brividi di giorni prima.

Ma questi sono terribilmente agghiaccianti.

Niente poteva finire se non in questa maniera, perché quando si è bisognosi di qualcosa, quando si desidera qualcosa, niente si può fare se non ubbidire a testa bassa di fronte a forza maggiore, perché siamo cagnolini dei nostri sentimenti, siamo schiavi in balia dei nostri bisogni, siamo autonomi solo nei movimenti, e neanche.

Siamo delle marionette dipendenti, perché la nostra vita è dipendenza, la nostra nascita è dipendenza, tutto è dipendenza.

E noi siamo la rappresentazione perfetta, perché dipendenza e peccato sono complementari, e autocontrollo e amore semplicemente i loro reciproci.

E il brutto che passa, la stretta al petto che lo accompagna, può diventare bello o più brutto, come il tempo di Londra.

E Luke avrebbe dovuto essere a casa tre ore fa, e invece è semplicemente rannicchiato nel retro del bar, come la più piccola delle cimici, come un animale desideroso di non farsi sentire e vedere; e la sua testa, chiusa tra le sue ginocchia piegate e le braccia, non vuole ricordare, ricordare nulla, perché pensa che vivere nell'ignoto sia l'unico modo per non soffrire, e la depressione l'ha ignorata, perché vivere nell'ignoto è vivere in depressione, e la depressione è il male più temuto.

E non sa se il ricordo di quegli occhi, di quel sorriso, possa essere bello o brutto.

E quella carezza, quelle sue mani che per sbaglio lo avevano sfiorato.

La sua voce terribilmente roca che risuonava al suo orecchio.

E ricorda un giorno, o meglio una sera; una di quelle solite sere in cui il più grande si offrì di accompagnarlo, e fuori armeggiava un temporale, uno di quelli che hanno sempre terrorizzato Luke, quello che lo faceva correre nel letto dei suoi quando era piccolo.

E la tensione si notava nei suoi occhi, ma il calore dalla mano di Michael sulla sua coscia era più che una rassicurazione.

E piano massaggiava l'arto, e il suo sorriso sembrava vincere mille paure, anche le sue.

Un sospiro lascia la sua bocca, come un lento venticello freddo che si dissolve nell'aria.

Forse avrebbe bisogno di stabilità nella vita, ma niente è meno stabile della sua stessa persona, mentre quella lacrima solitaria solca il suo viso, e non sa se è per il bruciore al polso, che ancora stringe nella mano, o per altro.

E quell'altro non lo conosce.

E Luke crede che forse sia ora di tornare a casa, perché non è più abituato a farlo a piedi.

E allora si alza, passando le mani sui suoi pantaloni spiegazzati, e guarda in alto verso l'orologio

I rumori delle gocce di pioggia che si infrangono sulla finestra stava dissolvendosi, ed il corpo di Luke, avvolto ad un abbraccio di freddo, trema leggermente, mentre il suono dei suoi passi tentenna assieme a quello delle lancette dell'orologio.

Jack era andato via già un'ora prima, Luke si era nascosto per non farsi trovare, sperando che il ragazzo più grande pensasse che se ne fosse già andato, e dopo due ore i suoi piedi erano diventati gelati e il pavimento non si era ancora riscaldato.

Le sue scarpe malandate si alzano e si abbassano, e il suo fiato si fa più corto, perché quell'aria che sta respirando e troppo fredda e troppo pensante.

||I was just like..Out of control.|| -Muke [SOSPESA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora